recensione di Nadia Cavalera, Spoesie, Roma, Fermenti 2010
Forse non ha senso definire la Poesia dell’utopia e della protesta politica di sinistra, che tanto contesta il Premier Berlusconi e l’operato del suo governo. Forse ha senso dire che quell’utopia di origine inglese, tanto cara al di lei maestro, il Filosofo dell’Università di Lecce Arrigo Colombo – vicino a Galatone, dov’è nata la Poetessa cara al recentemente scomparso Edoardo Sanguineti, con cui condirigeva, in quel di Modena dove vive, il periodico quadrimestrale “Bollettario” – fa si che, da sempre, Nadia Cavalera possa essere considerata la Dolores Ibàrruri (la scomparsa “Pasionaria” della
Quasi con gusto giornalistico alla Goffredo Fofi di “Penne all’arrabbiata”, la Cavalera sguaina le armi antigovernative della sinistra più intransigente, toccando temi scottanti come la vendita della Compagnia aerea di bandiera italiana Alitalia (oggi controllata da quella di bandiera francese Air France), l’esistenza cristiana di partiti come l’UDC ed altri temi sociali come la violenza sul proletariato. E’ un tutt’uno quello di “Spoesie” condito da un verseggiare ad ondate riflesse, frutto del frequente uso della rima baciata. Dopo componimenti come “Toghe sporche” e “Lodo Alfano” – di stretta attualità tangentista – meravigliando il lettore, dopo una scrittura giornalistica, il verso si fa vera ed alta Poesia in componimenti come “L’inverno di Praga”, “Futurismo”, “Per L’Aquila” tanto che in “Ti ho dato la vita” la Cavalera occhieggia reminiscenze scolastiche di stampo stilnovistico, di confronto finanche col San Francesco del “Cantico delle creature”. Ma sempre si mostra combattente il verso della raccolta “Spoesie”, quasi che i componimenti di Nadia Cavalera ritrovino l’uomo maturo che contesta anche il suo stesso sindacato per formarne uno nuovo.
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