News — 06 Gennaio 2018
La Befana Epifania che nessuna festa porta via
I magi vanno a Betlem e la stella li guida: nella sua luce amica cercan la vera luce.
Il Figlio dell’Altissimo s’immerge nel Giordano, l’Agnello senza macchia lava le nostre colpe.
Nuovo prodigio a Cana: versan vino le anfore, si arrossano le acque, mutando la natura.
Così l’inno dell’Epifania, presente nella liturgia delle ore, riassume il senso dell’Epifania, l’ultima delle celebrazioni religiose del ciclo natalizio. Nella tradizione cristiana, l’Epifania (dal greco ἐπιφάνεια, epifáneia ) indica la triplice manifestazione di Gesù sulla terra: alle genti, rappresentate dai Magi (in persiano uomini saggi; forse sacerdoti dello Zoroastrismo, non di certo re); agli ebrei nel momento del battesimo nel Giordano; ai discepoli durante il suo primo miracolo a Cana.
Da Epifania, passando attraverso Bifanìa e Befanìa, si arriva alla parola Befana, sua corruzione lessicale che col tempo ha indicato una realtà popolare parallela, che si è accentrata nella figura della donna anziana che vola con la scopa e porta regali e dolci ai bambini buoni e carbone, o aglio, a quelli cattivi.
Una versione folcloristica che strizza l’occhio al ruolo dei Magi coi loro doni, ma mantiene ancor più legami col mondo pagano.
C’è chi infatti ha voluto vedere, in questa donna che vola, una versione, contaminata dal culto asiatico, dell’antica dea lunare Diana, nella veste di Madre universale e simbolo di fecondità della natura. Così che non si esitò ad identificare con Diana e il suo corteo di ninfe, le 12 figure femminili che, secondo la mitologia romana, al 12° giorno dal solstizio d’inverno, (il 5 gennaio appunto) sorvolavano in lungo e in largo i campi, per proteggere i semi dal gelo e scongiurarne la morte.
Utile per questo sarebbe tornata la neve. Da qui le preghiere alla divinità (in sovrapposizione talora con la dea Bellona, legata alla sumerica Belili), al fine di evocarla. E a supporto si seppellivano nei campi fasci di rami di salice bianco. Gli stessi delle scope su cui, secondo l’iconografia più diffusa, le befane svolazzano instancabili.
La Chiesa ha provato a debellare anche questa credenza. Ma inutilmente.E’ riuscita solo a fare della bella virginea Diana una vecchina poco attraente, semmai da identificare con le streghe.
La tradizione della Befana, nonostante tutto, è rimasta molto radicata in Italia, e in alcune regioni in particolare, come la Toscana dove si svolgono le befanate, canzoni della Befana eseguite, con l’accompagnamento di strumenti musicali, da gruppi di bambini o adulti che la sera del 5 gennaio, vanno di porta in porta a procurarsi strenne, doni o soldi (l’iniziativa, in altri paesi europei, e soprattutto in quelli scandinavi, ha il corrispettivo nei canti delle strenne).
In molti paesi di Romagna, Umbria, Marche, la stessa tradizione (con commistioni celtiche), è comunemente chiamata Pasquella; nel Lazio Pasquarella. Dalla diffusa denominazione di Pasqua Epifania.
Dunque quale titolo onorifico, essendo la Pasqua la festività più importante dei cristiani ed ebrei (per gli uni rappresenta la risurrezione, per gli altri la liberazione dalla schiavitù d’Egitto), ma soprattutto perché la tradizione delle Pasquelle ricalca, nell’ambito pagano, un momento “di passaggio” del calendario agrario.
Si narrava infatti che il dodicesimo giorno dal solstizio d’inverno, la notte del 5 gennaio (mentre Diana e le sue fedelissime scorazzavano sui campi seminati), i morti antenati uscissero dal regno delle tenebre e si incarnassero negli animali, cui donavano la parola per raccoglierne le lamentele. Guai a quelli della casa sentirli, si correva il rischio di morire. Tanto più se gli animali denunciavano maltrattamenti da parte dei padroni, che proprio per questo nel periodo precedente li coccolavano particolarmente. Comunque nella notte del 5 era buona norma abbandonare la stalla, seppure più calda, e trasferirsi in casa.
Alla cui porta bussavano i vari gruppi di “befanotti” (o “pasquaroli”, “pasquellari” , “pasqualotti”, “pasquellanti”, “pasquarellari, a seconda delle località) in cerca di calore e difesa (pur rappresentando gli antenati), dalle bestie e i loro spiriti.
Ma questo solo in zone molto circostanziate, nel luogo e nel tempo, per tutto il resto solo il planare di una vecchina verso una calza, presso il camino o una finestra, per depositare i suoi piccoli doni.
Non si sa per quanto ancora, incalzata com’è dall’ingombrante e prodigo babbo natale e già prima, a fine ottobre, dall’invadente halloween, con cui ha molti tratti comuni.
Sua prerogativa unica è che tutte le feste porta via.
Si fa per dire, perché come un proverbio siciliano conferma, “per i tre Re / tutti olé”, con la Befana Epifania inizia sostanzialmente, invece, il Carnevale.
Nell’avvio di un tournover festaiolo continuo che dimostra una sola cosa: la fragilità dell’umafemìno (1) di fronte alla sua condizione esistenziale e il bisogno incontenibile di non pensarci, stordirsi. Di di-vertirsi, volgendo l’attenzione in un altrove qualsiasi.
Note (1) così da tempo amo chiamare l’uomo+donna, invece del sessista semplice “uomo”
da CINQUECOLONNE.Magazine, 6 gennaio 2018

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Nadia Cavalera

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