Blog — 06 Novembre 2006

Sabato 5 dicembre si è svolta a Modena, nella cornice del Teatro san Carlo,  la cerimonia di premiazione del Premio Alessandro Tassoni.

A premiare Biancamaria Frabotta vincitrice dell’honoris causa e Franco Buffoni, vincitore in Narrativa con  Il racconto dello sguardo acceso, (Marcos y Marcos, Milano,2016)il Sindaco di Modena Giancarlo Muzzarelli.

Assente per gravissimi  motivi Gabriella Uluhogian,  è stata la nipote Elisabetta Uluhogian a ritirare la targa del riconoscimento. consegnatale dal prof. Sergio Ferrari, Pro Rettore dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Gli studenti Pietro Barani e  Daniele Borsari (assente Carolina Piricò) sono stati premiati dal prof. Agostino De Pretis, che con la prof Rosa Maria Coppelli hanno curato la sezione.

La serata è stata condotta da Andrea Ferrari Le letture sul Tassoni sono state eseguite con competenza da Barbara Corradini .  Edoardo Buffagni ha letto, con partecipata emozione, le poesie vincitrici degli studenti.

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HONORIS CAUSA

Biancamaria Frabotta

MOTIVAZIONE

Mentre imperversava il ’68, dei giovani autori e lettori si incontravano in uno scantinato a Roma per interrogarsi sul loro tempo e cercare di dare corpo al bisogno personale di poesia, in produzioni che li rappresentassero, congiuntamente alla formulazione di un linguaggio altro, epurato dalla grevità espressiva della temperie politica e distillato soltanto (come dirà in seguito Antonio Porta) nelle “qualità di progettualità vitale”.

Tra di loro Biancamaria Frabotta, che muove lì i primi passi in poesia,

Collaborerà poi con importanti riviste: Tam Tam, Nuovi argomenti, Salvo imprevisti, Prato Pagano; scrive “Affeminata”, una piccola plaquette con un titolo grande, assolutamente straordinario, un neologismo insieme descrittivo e programmatico della sua condizione metamorfica in atto.

Una femina (nell’accezione latina) che si stacca dal contesto generale e si autoriproduce, innanzitutto linguisticamente,  nella coscienza di sé.

“non come te poeta io sono / io sono poetessa e intera / non appartengo a nessuno”

Una sorta di novella Dafne a processo inverso, che presa e compresa della sua più vera natura, rifiuta lo sguardo di Apollo / l’Altro da sé, che la vorrebbe paralizzare a livello vegetale, secondo i dettami della cultura maschilista imperante e avvia la sua erranza mutante, alla ricerca della propria corporeità di lingua e di sangue, prima ancora che d’anima.

Viandanza (come la chiamerà in seguito con l’evocazione delicata della danza per via)
che non può prescindere da un impegno coinvolgente tutte le donne.

La volontà di affeminazione è infatti il frutto della sua militanza nel nascente femminismo di quegli anni, che lei indaga nelle dinamiche politiche e di cui raccoglie i documenti in pubblicazioni specifiche  “Femminismo e lotta di classe in Italia”, (dal 1970 al 1973), “La politica del femminismo” (1973-76). Materiali preziosi per la necessaria storicizzazione del movimento italiano, sviluppatosi quale estensione di quello americano, che costituì uno dei più grandi movimenti di massa della nuova sinistra americana (suo atto di nascita il 10 luglio 1967, con la pubblicazione del manifesto nella “New left notes”).

Dalla politica alla letteratura anche in ambito critico il passo è breve
ed ecco nel 1976, quando già si produceva in un’ampia attività pubblicistica e insegnava letteratura italiana all’università di Roma, il libro “Donne in poesia”, l’antologia della poesia femminile in Italia dal secondo dopoguerra fino a quegli anni.
Non un “umiliante circo – ghetto all’interno della cultura del re”, come qualcuno avrebbe potuto considerarla, preciserà lei stessa nell’introduzione, ma la prova di una “matura consapevolezza poetica femminile”  Questo testo diventerà per le donne poete un caposaldo della loro storia culturale.

Seguirà a breve “Letteratura al femminile”, itinerari di lettura: a proposito di donne, storia, poesia, romanzo.

E nel 1982 la raccolta di tutti i testi poetici fino ad allora prodotti in “Rumore bianco”, lo stormire del mondo in tutte le sue sfaccettature possibili di colore sino ad un apparente acromatismo.

Il libro ha la prefazione di Antonio Porta, che, tra tanto altro vi vede “tracce di un percorso consapevole e lucido”.

Quello che con puntualità Biancamaria Frabotta ha sviluppato tematicamente e stilisticamente nei successivi lavori.
Da “La viandanza” a “La pianta del pane”, per nominarne solo alcuni – e limitandoci a quelli di poesia – e tacendo sulle molteplici collaborazioni a riviste e direzioni delle stesse.
Fino a “Da mani mortali” inquieto condensato di vita attiva e contemplativa con una finale riflessione sul tema della morte “lima del tempo”.
Lungo una  precisa coerenza etica e una costante sperimentazione linguistica che hanno fatto di lei un’icona di autenticità imprescindibile, con cui confrontarsi sulle tante contraddizioni irrisolte del nostro tempo.(NADIA CAVALERA)

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NARRATIVA
Franco BUFFONI, Il racconto dello sguardo acceso, (Marcos y Marcos, Milano,2016)

MOTIVAZIONE

E’ stato  sostenuto che la narrazione, prima ancora di costituire  il regno delle più   vertiginose finzioni della letteratura,  è uno sguardo, un pensiero, una modalità cognitiva e insieme etica di interpretare il mondo e la propria avventura esistenziale. Questo  vale senz’altro per lo “sguardo acceso”  che intitola il “racconto di racconti” di Franco Buffoni e ne anima le pagine,  alla stregua di un Leitmotiv o di una suggestione volubile e segreta. Sono ricordi, incontri, frammenti lampeggianti di vita, epifanie della corporeità e dell’eros,  riflessioni saggistiche sulla letteratura e la vita letteraria,  analisi accorate e pungenti della  nostra attualità  culturale, politica e civile,  ove la storia dell’individuo si intreccia continuamente alla storia collettiva e anche la memoria si rivela una figura del possibile. A unificare  motivi e tonalità così differenti  provvede appunto  lo sguardo o il pensiero narrativo, la coscienza interpretativa immanente all’atto stesso di strutturare l’esperienza negli schemi prospettici di un racconto. Certo l’io dei Racconti dello sguardo acceso non si chiude nella propria interiorità,  ma obbedisce alla spinta molteplice e avventurosa dell’esistere nutrendo in sé la passione e il coraggio del reale, per misurarsi intrepidamente  con i suoi enigmi diurni, il suo guazzabuglio di verità e di miraggi, in un confronto critico che esige presenza a se stessi  e alla comunità dissonante ma  viva delle voci della cultura: forse è ciò di cui nell’attuale congiuntura letteraria, almeno in Italia,   più si avverte il bisogno. Ed è così che la narrazione può diventare rivendicazione sofferta anche se mai urlata di diritti conculcati, protesta ferma della coscienza offesa, mentre l’ironia si sdoppia nello scrupolo tormentoso di un’autoanalisi rigorosa, a tratti spietata,    senza della quale essa sarebbe presunzione.

D’altro canto è  parte integrante dell’autoritratto narrativo di Buffoni   la  sua storia di professore e di traduttore, oltre che di poeta, per il quale anche la lettura è un coefficiente attivo della vita. Ecco allora venire in primo piano  i dialoghi con i testi  amati e le rivisitazioni del proprio passato di autore, che restituiscono anche l’esperienza poetica, la propria o l’altrui, al flusso misterioso  dell’occasione e della contingenza, alla ricerca  peculiarmente narrativa  di un ordine e di un senso entro il  magma caotico dell’esistenza. Per questo il traduttore finissimo dei grandi romantici inglesi può avvalorare  il sublime “clandestino” di ciò che è quotidiano e comune. Convinto con Wittgenstein e con Sereni che la parola sia la superficie di un’acqua profonda, Buffoni persegue una prosa di tersa limpidezza senza rinunciare alla vocazione della letteratura a esplorare l’invisibile, allo stesso modo in cui la concretezza appassionata dei luoghi e degli incontri si rivela una forma intensa  di fedeltà all’esigenza e al progetto di una terra in cui vivere. Così l’attaccamento tenace alle origini lombarde, con la loro indimenticabile brughiera (che sia anche quella di Seamus Heaney?),   convive con lo spirito del viaggiatore irrequieto e curioso, animato da domande, istanze,   prospettive di respiro europeo. Non a caso Buffoni è un europeista convinto, anche e specialmente  quando ricorda all’Europa, e soprattutto all’amata e odiata Germania, che la costruzione di una casa comune non può veramente spingersi lontano se ci si ostina a individuarne il fondamento nella  miopia arrogante  della supremazia finanziaria  e dell’efficienza burocratica.

Ma viene subito da aggiungere che la sua fede nell’Europa si intreccia, fa tutt’uno con una fede appassionata anche se tutt’altro che ingenua nella scrittura e nella lettura, nella parola letteraria come moltiplicazione, approfondimento, accelerazione dell’esperienza. Si tratta di  una risposta, in primo luogo di ordine etico,   al dubbio fondato che nel mondo che ci circonda, in una situazione resa più grave dalla sua profusione opulenta  di specchi e surrogati prestigiosi, siano divenute sempre più improbabili  le esperienze e le relazioni capaci di definire un  orizzonte comune, una forma non illusoria del vivere assieme, mentre sembra prendere il sopravvento  la logica della divisione o della contrapposizione violenta,   al punto di ridurre al silenzio  sin  la speranza in un senso condiviso. Ma è poi vero che, quando a praticarla è un lettore e un traduttore come Buffoni, la letteratura continua a esercitare la sua prerogativa di annunciare e promuovere una misteriosa solidarietà, capace di  ricostituirsi anche e proprio  là dove  l’estraneità e la solitudine appaiono più marcate. Tradurre in scrittura le esperienze di vita e di lettura significa in fondo  verificare le proprie  attitudini a connettere e dunque a interpretare, sperimentando  ogni volta sulle tracce e sul confine dell’alterità quel senso del  limite e della  finitudine che è anche il segno più certo e vitale  della nostra identità. Il racconto di racconti di Buffoni ne è la prova:  nonostante tutto, pur nell’ombra e nell’ansia di un’esperienza divenuta forse più povera e più enigmatica, l’uomo continua a essere un animale che racconta storie. (GIORGIO ZANETTI)

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SAGGISTICA
Gabriella ULUHOGIAN, Gli Armeni (Il Mulino, Bologna 2015)

MOTIVAZIONE

Spesso, quando ascoltiamo notizie provenienti da luoghi lontani, magari in corrispondenza di guerre o altri disastri, rimaniamo colpiti dagli eventi del presente, ma non siamo in grado di di capirne le cause profonde che provengono dal passato. Nel mondo dell’informazione prevale la cronaca, mentre sarebbe necessaria la storia.

Ben venga, allora, un saggio di storia come il libro sugli armeni di Gabriella Uluhogian che ricostruisce con grande attenzione e competenza la storia di questo popolo, che ha resistito a tante vicissitudini e invasioni, posto com’è a crocevia geografico, un “ponte tra Oriente e Occidente”. Un territorio costituito da alture (in termini geofisici un “acrocoro”) che nel tempo ha sofferto della vicinanza con grandi imperi, i Romani, i Persiani, i Tartari, i Turchi, fino all’Unione Sovietica, conservando però con grande orgoglio le proprie caratteristiche: la lingua, la religione, la cultura.

In ciò i confini hanno subito variazioni, la lotta per l’indipendenza ha avuto i suoi rovesci e la popolazione si è dispersa andando a costituire nuclei di emigrazione in altri paesi.

Il punto più tragico di queste vicende è il genocidio degli anni 1914-1915, con il suo carico terribile di un milione e mezzo di morti, ancora oggi oggetto di negazionismo da parte turca.

Eppure, malgrado l’eccidio e malgrado la diaspora, la cultura armena ha dato prova di una grande capacità di attraversamento delle tempeste della storia. Forse – come dice l’autrice – è “proprio di un popolo non dominate avere cura delle tradizioni”. Quello che si impara dalla storia degli armeni, lunga 2500 anni, è “l’ottimismo intelligente che non si dà per vinto anche nei momenti di grande crisi”.

Oggi che molto spesso si tende a presentare gli eventi storici in forma di fiction, come se i “fatti” e i “dati” fossero troppo noiosi per il pubblico, questo libro ribadisce l’importanza della fedeltà ai fatti e ai dati, contro tutte le tentazioni di abbellirli; e ci dimostra l’importanza della ricerca precisa e della esposizione meticolosa e chiara. (FRANCESCO MUZZIOLI)

 

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POESIA STUDENTI

 

MOTIVAZIONE

Poesie lievi e delicate ugualmente meritorie pur nelle sfaccettature diverse.

Di “Telemaco” di Pietro Barani che rivisita il mito classico, si apprezza l’eleganza delle immagini e della confezione che fissano seducentemente il tema dell’attesa come ebbrezza dello spirito.

In  ”Rotaie a vapore” di Daniele Borsari Si impongono le emozioni provocate da un viaggio in treno, espresse con immagini realistiche  e quotidiane. Metaforicamente la vita appare un viaggio in cui tutto può capitare.

In “Scorrevole è il tempo nostro” Di Carolina Piricò risalta il senso di “effimero” e  “fragile”, legato alla condizione umana ed espresso con immagini di garbata malinconia. In un elegante e meditato stile (AGOSTINO DE PRETIS – ROSA MARIA COPPELLI)

 

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Nadia Cavalera

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