Blog — 02 Giugno 2010

LEZIONE MAGISTRALE
UN OCCHIO AL VERO
SAPERI DELLA MANO E DELLA BOCCA (di Carlo Sini)

La verità parziale di Paola Colombini

Nel pomeriggio di sabato 15 settembre, Carlo Sini, intervenendo alla settima edizione del festival della filosofia dedicato al tema del “sapere”, nella chiesa di s. Carlo ha trattato l’argomento con una lezione dal titolo: “Un occhio al vero, saperi della mano e della bocca”.Sini ha dichiarato da subito la difficoltà dell’argomento, anticipando il suo intervento come una strenua difesa del relativismo che combatte ogni pretesa di assoluta verità riguardo ai contenuti della stessa.La lezione è cominciata con la lettura del secondo paragrafo dell’opera di Nietzsche “Umano troppo umano”dal titolo “Difetto ereditario dei filosofi”. In questo brano, Nietzsche afferma che non ci sono fatti e verità assolute, ma che tutto è divenuto, cercando di dirci che la conoscenza è da intendersi come una relazione con noi stessi e con il mondo.Citando un pensiero di Maurice Merleau-Ponty, nel quale afferma che: “Io non ho che il mio corpo per andare al cuore delle cose”, Sini ci e si interroga da dove venga il nostro corpo e che cosa sia il nostro corpo. E’ un dato con cui misurare in modo assoluto il mondo? Non è anch’esso divenuto?Il corpo è un risultato ed io sono il risultato del mio corpo. L’io viene dopo il corpo che ha risposte vitali con cui ha già giudicato, interpretato, accettato o rifiutato ed anche il corpo è divenuto, non solo il mio corpo, ma il corpo dell’intera specie umana. Quale la sua origine, la sua storia? Si può affermare che quella del corpo è la più lunga storia del mondo. Rispetto alle conoscenze scientifiche dell’epoca di Nietzsche, il filosofo affermava che si potevano conoscere solo gli ultimi 4000 anni di storia, noi oggi diciamo che possiamo raccontare la storia umana con relativa sicurezza, per gli ultimi 6000 anni circa, ma il nostro corpo è molto, molto più antico. Su un numero della prestigiosa rivista scientifica “Nature”, è apparso un articolo che riportava la notizia di un ritrovamento archeologico di uno scheletro di un ragazzino di 12 anni, datato circa 160.000 anni fa, del tutto simile a quello di un ragazzino dei nostri giorni. Ciò significa che la famiglia umana 160.000 anni fa, era del tutto simile alla nostra. Lo scheletro di quel ragazzino mostrava come lo stesso avesse ancora bisogno degli adulti che lo aiutassero a sopravvivere mentre progrediva nella sua maturità corporea.Questo avvenimento ci dice che dobbiamo post-datare la comparsa dell’homo sapiens sulla terra.Gli esseri umani sono accomunati allo scimpanzé al 99% circa, ma questo in 3-4 anni raggiunge l’età adulta, mentre per gli esseri umani il percorso è molto più lungo. Accettando totalmente la teoria evoluzionistica che prevede un comune progenitore per uomini e scimpanzé che 5 o 6 milioni di anni fa avrebbe dato origine alla separazione tra i primati e gli ominidi, Sini ha proseguito nelle sue considerazioni chiedendosi che cosa ha caratterizzato questa prima differenziazione. I reperti archeologici mostrano che circa 3 milioni e mezzo di anni fa (dati da assumere con una certa cautela), si riconosce la presenza di un alluce somigliante a quello umano e che avrebbe permesso di ergersi su due arti permettendo di uscire dalla foresta e di vivere nella savana.Dal momento in cui questi primi “uomini” si sollevano da terra, si hanno innumerevoli e ricche conseguenze: vengono liberate le mani e la bocca, mostrando all’essere umano un mondo completamente nuovo. Ora esso fa esperienza della morte ed impara a seppellire i propri morti. Un’altra importante considerazione che ci viene dal mondo archeologico è quella di considerare l’altra grande differenza tra questi primitivi esseri umani e gli animali: il pollice opponibile. Tutta la nostra storia umana sembrerebbe ascritta nella differenza tra noi ed il regno animale rispetto all’alluce che ci segnala l’avvento di un uomo eretto ed al pollice opponibile che dà origine all’uomo abile, capace di costruire oggetti e di “sentire” il mondo. Come è arrivato l’uomo a costruire i suoi oggetti? Oggi noi non saremmo in grado di costruirci un oggetto primordiale. L’essere umano, a differenza dello scimpanzé, prende cose per crearne altre. La mano diventa lo strumento per costruire cose che non ci sono. Il pollice che si oppone alle altre dita ci permette di costruire oggetti e tale abilità si trasmette dando origine ad un’evoluzione di tipo esosomatica, legata alla trasmissione del sapere, quindi “culturale”, difficile però da collocare nella sua origine.Noi oggi sappiamo che già 350.000 anni fa, l’uomo di Neandertal seppelliva i morti, usava utensili e parlava e che già allora era in cammino il nostro cervello. Ma il salto fondamentale accade quando i nostri progenitori attinsero al linguaggio (l’evoluzione esosomatica dentro il linguaggio è anche quella che ci permette di parlare del nostro tema di oggi: il sapere.) Anche gli animali “sanno”, hanno una sapienza del saper fare ed è un’abilità che possediamo anche noi umani e che ci accomuna ai mammiferi: fin dalla nascita il cucciolo dell’uomo sa succhiare e questo sapere è ciò che gli permette di rimanere in vita, oltre che un’esperienza di conoscenza del mondo che lo caratterizza nei primi anni: per il bambino, infatti, il mondo è una realtà da succhiare.Noi siamo l’eredità di milioni di anni di “saper fare”. Quando entriamo nel saper dire, nella capacità di iscrivere nella voce il significato delle cose, comincia la nostra evoluzione esosomatica vera e propria, che per Nietzsche risale a 4000 anni fa, per noi, alla luce delle conoscenze attuali, a d un’epoca precedente Il difetto ereditario dei filosofi si configura quindi come la pretesa di partire dall’uomo com’è, come se fosse un’entità data e stabile nel tempo, per trovare la verità. Questo non è possibile e dobbiamo andare a scuola dalla storia interrogandoci anche sul come comincia la filosofia, esercizio del pensiero senza il quale rischiamo di rimanere vittime del fanatismo, teologico o scientifico che sia.Non solo la mente ed il corpo sono divenuti nel corso della storia, ma anche la nostra capacità di conoscere. Un conto infatti è conoscere come conosceva un uomo primitivo o un romano, ed un altro come conosciamo noi oggi. Il filosofo che pretende di dire qualcosa di definitivo sull’uomo, tutto al più ci dice la sua teoria sull’essere umano. Nessuno di noi può tirarsi fuori dal contesto umano per parlare come se fosse un occhio esterno che osserva dall’alto, come se fosse Dio. Ciascuno di noi è dentro al suo tempo, alla sua cultura, dentro alla storia della conoscenza. E’ necessario atteggiarsi con modestia e senza superstizione nei confronti della verità. Non si tratta di un relativismo che neghi la verità, ma la forza della verità è proprio quella di essere relativa. Di fronte ad essa dobbiamo atteggiarci in due modi distinti: la verità come evento è assoluta (nel senso che è sciolta da tutto) ma non il contenuto di questo evento. Non si dà mai l’evento senza il significato e possiamo vedere in questo incontro il simbolo della croce. Sini si avvia verso la conclusione ammonendoci dal dimenticare di guardare al cielo chiudendoci sul contenuto del nostro “sapere delle mani e della bocca”, presupponendo di tenere in pugno l’evento. Occorre poi non permettere a nessuno di dichiararsi verità, ma al limite, solo una sua parziale manifestazione. Si deve guardare all’evento con tutta la nostra capacità umana di provare pietà per saperlo dire, o meglio, sussurrare, con grande umiltà.

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