In Malacoda e Trivio
LA CROZZA COL CAPPELLINO E L’OMBRELLINO
Monologo
di Nadia Cavalera
Democrazia? Democrazia…E che cos’è?
Secondo la definizione corrente è «la forma di governo basata sulla sovranità popolare, in grado di garantire a ogni cittadino pari libertà e i medesimi diritti civili, politici e sociali, oltre alla partecipazione in piena uguaglianza dell’esercizio del potere pubblico». Una seppur parziale realizzazione della isonomia propugnata da Hannah Arendt?
Pari libertà per tutti…pari uguaglianza per tutti, nella gestione del pubblico potere.
Alexander Dubcek incalza: «La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni».
Che belle parole, che possono essere smentite punto per punto per mio sommo disappunto.
Parole dunque. E nei fatti?
Forse aveva ragione Lenin quando diceva che
«la democrazia è uno stato che legittima la sottomissione della minoranza alla maggioranza, ed è paragonabile ad un’organizzazione istituita per l’uso sistematico della forza di una classe contro l’altra, di una parte della popolazione contro l’altra».
Però a ben pensarci questo poteva andare bene un secolo fa. Quando comunque la maggioranza aveva sempre ragione e la minoranza non aveva la forza di reagire e subiva soltanto.
Ma ora, che le nebbie si stanno definitivamente diradando, vediamo che quella maggioranza di cittadini non esiste, non conta niente ed è stata assorbita in un gruppo di potere, che decide secondo i propri piani, per i quali non c’è bisogno neppure di voti di approvazione.
Se proprio di maggioranza vogliamo parlare indichiamo quel gregge di spettatori passivi che segue, tra mance varie, il capetto di turno, e la minoranza una massa di topi decerebrati che rosicchiano le briciole, volendone altre ed altre ancora.
Tutti soggetti passivi. Come mai? Lavaggio del cervello ad opera della pubblicità, che non è solo quella classica ma è quella che si esercita in tanti altri modi occulti. Ha ragione Noam Chomsky: «La propaganda è in democrazia quello che il randello è in uno stato totalitario». Tutti randellati dunque.
Un popolo stordito manipolato, sradicato da quei sani valori che ancora potrebbero servire da leva per una ripresa. Un popolo orientato solo a perseguire un qualche beneficio personale (in rapporto alla capacità di ogni singolo di appropriarsi indebitamente di quanto più possibile), potrebbe essere redento da giuste leggi, è vero. Ma come muoversi, quando sono proprio queste leggi che prendono le debite distanze dai soggetti, volendoli tenere in quello stato, sottovuoto mentale?
Le leggi sono lontane dal popolo, lontane dalla sua coscienza, reperto obnubilato. Così che, in maniera evidente ormai, senza neppure sotterfugi, le leggi vengono imposte dall’alto.
Per mantenere l’illusione della libertà, si spendono milioni per indire i referendum popolari, che vengono sistematicamente ignorati. E per meglio domare il popolo ribelle lo si priva del lavoro, gli si toglie in parole povere la base della dignità, l’unica condizione che gli permetterebbe di pensare ad una qualche generale uguaglianza.
E la disoccupazione e il precariato, nella salsa perenne dell’aleatorietà, impazzano.
Questa è la democrazia? Forse sarebbe più corretto chiamarla oligarchia
Democrazia è una parola simile a poesia. Di essa si dice di tutto e di più senza conclusione alcuna. Per puro indottrinamento sciorinato in ogni qualsivoglia intrattenimento.
Per me?… è un reperto archeologico dei greci più creativi (i produttori di logos, circolanti nel bios politikos – ah la polis che grande fregatura!), che, a caccia di personale eccellenza, già allora vollero manipolare l’opinione pubblica, facendo passare per “popolo intero” ciò che era solo una parziale realtà, l’indicazione di un ceto, la modificazione della fratria per scalare il potere e entrare nella bulè.
Non indicava certo il popolo tutto. E le donne dov’erano? e i meteci? e gli schiavi?
Va bene, ammettono i capoccioni, non erano tutti tutti, ma almeno hanno cominciato l’autodeterminazione. Ah deo gratias! E gli uomini autodeterminandosi, autodeterminandosi continuamente, nei secoli dei secoli, sono finiti dove? sotto i piedi del capitalismo, che elargisce falsa libertà, quel tanto per poter essere ligi consumatori e permettere alla piovra di sopravvivere alla grande.
Conoscevano bene i Greci il potere del linguaggio e giù a coniare quella parola, che poteva andare bene allora, ma coccolarsela ancora dopo due millenni e mezzo è il colmo. Fa vomitare. Tra tanti filosofi e politici nessuno riesce a pensare di meglio? Nessuno riesce a definire una forma nuova di governo? Se proprio siete antiquari rispolverate il comunismo, che sempre più giovane è. Certo con ritocchi, ok, ma sempre meglio di questo sconcio corrente.
Democrazia…una crozza col cappellino e l’ombrellino, che ancora i filosofi si pettinano, scartando proprio il comunismo che ben altre soluzioni porterebbe.
Non credo sbagliasse Andrzej Majewski quando ha detto che «Il più grande e geniale truffatore di tutti i tempi è stato l’inventore della democrazia». Truffatore sì.
E giocate, giocate ancora con questo fantoccio senza anima, accontentatevi di scrivere migliaia di libri per pochi e senza tanta immaginazione, con la conseguenza del trionfo tronfio del capitalismo.
«Niente e nessuno, neanche la democrazia, può proteggere l’umanità dalla sua propria follia» ha scritto qualcuno.
E lo credo bene.
Primo: l’umanità non è folle. Folle è solo quel gruppetto di maschi che dominano imponendo le loro scelte economiche di puro mercato al resto di quella che andrebbe chiamata finalmente, nel rispetto della componente femminile, umafeminità (neologismo per uomini e donne insieme, n.d.r.).
Se ne fregano di qualsiasi possibile ostacolo. Lo aggirano con le parole quindi lo annientano.
Secondo: non può un fantasma verminoso, vuoto e roso fermare alcunché, anzi è stato creato apposta per permettere al gruppetto di folli violenti di fare quello che vogliono.
La democrazia non esiste. Solo apparenza. Anzi la flatulenza di putrefatta effervescenza.
E già lo sapeva bene, nel secolo breve, Mussolini: «I Regimi democratici – diceva – possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l’illusione di essere sovrano.»
E Gore Vidal: «La democrazia dà la sensazione di poter scegliere».
Illusione dunque, sensazione come impressione.
Certo qualcuno potrebbe obiettare che stiamo meglio che nei Paesi Islamici.
Ma questo non mi consola proprio.
A parte il fatto che una parodia di democrazia può essere anche più pericolosa di una chiara dittatura perché anestetizza i cittadini, toglie loro la volontà di agire, di difendersi, a me come vivano altre culture non interessa. E comunque bisogna vedere i punti partenza.
Se consideriamo i nostri e i loro, i risultati, credetemi, sono identici.
Immobili loro e immobili noi. Loro sulla teocrazia, che almeno si capisce cos’è, e noi a cincischiare con ‘sto straccio di parola.
Democrazia… Tra i composti con -crazia, per indicare una forma politica, è l’unica parola insulsa. Infatti se teocrazia, aristocrazia hanno ancora un senso: potere gestito dalla religione l’uno, e potere in mano ai migliori l’altro (si fa per dire, più spesso sono i peggiori moralmente, capaci delle più obbrobriose nefandezze). E persino ginecocrazia, potere in mano alle donne. Ma …democrazia..per carità!
Anche Monarchia o Oligarchia hanno ancora un senso valido, per una forma di stato.
Oligarchia sarebbe poi la condizione attuale con ‘sta mascherata democratica.
Viviamo in una società oligarchica, gestita dal potere finanziario, che non può permettere libertà reali ma solo virtuali.
Permesso ribellarsi, ma senza speranza alcuna di cambiamento. Uno sfogo saltuario per mantenere tutto come prima. E di questo sono testimonianza svariati movimenti, valvole di sfogo controllate, preventivate, programmate. Non certo prova della forza degli ideali democratici. Che se così fosse stato, un miglioramento avremmo dovuto vederlo. Invece niente di nuovo, tutto rientrato (come nel ’68), dopo il movimento di “Occupy Wall Street”, dopo la “primavera araba”, dopo la “rivoluzione degli ombrelli” dei ragazzi di Hong Kong.
Si può discutere il carattere centrale dell’economia, ma non certo osare pensare di cambiarlo, è questo il monito. Più che dimostrazione della forza eversiva dell’autonomia e dei suoi ideali democratici, sono sfoghi previsti e castrati in tempi rapidi.
In democrazia il popolo è bastonato su mandato del popolo. È la pratica certosina dell’autoinganno, direbbe Carmelo Bene.
Siamo in pieno neo-liberismo: il potere dei cittadini trasloca sempre più nelle mani dei privati, di pochi privati.
La sovranità popolare è stata confiscata dalle lobby economiche che usano i partiti burocratizzati, fantocciati. Siamo in postdemocrazia. Per taluni. Che non hanno neppure la fantasia di trovare un altro nome. Eppure trovarlo è ineludibile se veramente si vuole creare un’altra realtà. Il nome la determina.
Che fare dunque davanti a questa che per Georges Bernanos è un’invenzione degli intellettuali, e per Leonardo Sciascia una presa per i fondelli? «Il popolo, la democrazia […] sono belle invenzioni: cose inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parola in culo all’altra e tutte le parole nel culo dell’umanità » .
Che bella soddisfazione!
Ma il culo dell’umanità è colmo. Eliminare la parola democrazia è d’obbligo. Così come quella di “politica”. La polis oggi è inconcepibile. Se proprio si vuole mantenere la terminologia greca, rifacciamoci all’astu, la piazza e location dei lavoratori.
Basta con questa falsa crazia del popolo, ma che politici accorti, quali per me potrebbero essere solo gli astutici (gli operatori pubblici che vengono dall’astu e si muovono per l’astu) puntino su programmi che privilegino il lavoro, che è l’unico modo per dare dignità all’umafeminità.
Da decenni io auspico una nuova forma di governo. Le ho dato anche un nome: ERGOCRAZIA: Potere al lavoro (ergon in greco, n.d.r.)
Ai sopravvissuti alle manipolazioni e ai possibili loro degni rappresentanti il compito arduo ma inderogabile di realizzarla.
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