DRAGHINERIE DI UNA CITTADINA QUALSIASI
di Nadia Cavalera
Mario Draghi aveva un solo punto nella sua agenda, un’unica aspirazione per coronare un curriculum di onesto e ligio servitore del Capitale: fare il Presidente della Repubblica. E quando ha accettato la carica di Presidente del Consiglio è stato solo perché qualcuno gli aveva ventilato l’idea, o lui ha creduto di vedersela ventilare, che accettarla sarebbe stato il percorso più rapido per diventarlo. Le elezioni presidenziali erano previste per il gennaio 2022. Si trattava di aspettare meno di un anno e tutto si sarebbe compiuto.
Viene nominato da Mattarella il 3 febbraio 2021, accetta con riserva, la scioglie e entra in carica il 13. Arrivato a Palazzo Chigi, a naso chiuso, ma armato di santa pazienza, subito, per meglio controllarli, ammassa in un unico recinto tutti i partiti. Per tenerli buoni e ottenerne il futuro consenso, accontenta ora l’uno ora l’altro e nell’attesa di raccapezzarsi, porta avanti tutte le valide iniziative avviate dal suo predecessore Giuseppe Conte. Era questo l’avversario più temibile per quella sua fede nella politica e quello strano entusiasmo per lui alieno, del tutto incomprensibile. Per quanto può, adulando forse l’ingenuotto Di Maio nel prospettargli un futuro insieme, cerca di incrinare il rapporto tra i due esponenti 5stelle e dividere il partito di maggioranza, troppo scomodo per la sua indole conservatrice al massimo. E certo che avrebbe fatto piacere ai suoi amici Usa/Nato. Già De Gasperi in passato, dopo il viaggio in Usa, aveva avuto quest’ultimato/mandato.
Ad ottobre 2021 approva la legge finanziaria per l’anno 2022 da 23 miliardi di euro. Che, tra interventi vari legati al momento pandemico (acquisto di vaccini e medicinali contro il coronavirus per circa 1,8 miliardi di euro; il finanziamento di 2 miliardi di euro aggiuntivi per il servizio sanitario nazionale, ogni anno fino al 2024), proroga fino al 2023 il “Superbonus 110%”, ma inasprisce la riforma delle pensioni, nota come “Quota 100” (pensionamento a 62 anni con 38 anni di contributi), introducendo la denominata “Quota 102″(pensionamento a 64 anni). Assicurato però il taglio dal 22% al 10% dell’IVA su prodotti assorbenti per l’igiene femminile. Le donne grate esultano.
Il 30 dicembre 2021 a ridosso delle elezioni presidenziali, così che meglio ne beneficiasse la sua immagine, e mentre già impazzava il Totoquirinale, Draghi approva un’ulteriore proposta di bilancio che comprende, tra l’altro, una revisione del sistema fiscale italiano, una nuova serie di crediti d’imposta e tagli alle imprese ad ampio raggio, sussidi alle imprese che assumono giovani e neomamme, mutui agevolati per chi acquista la prima proprietà e persino un fondo accantonato per mitigare l’aumento dei prezzi dell’energia. Regalie per tutti. Che vogliono di più? pensava.
A gennaio, allo scoccare del cambio di guardia al Quirinale, è convinto di farcela, e, tramite la stampa, esterna ufficialmente nei sondaggi la sua cauta disponibilità a ricoprire l’alto incarico. Ma non tutti sono d’accordo. Bagarre generale. Il comandante della nave era stato cambiato durante la tempesta sanitaria già una volta, non si poteva rischiare ancora. Innanzitutto il bene pubblico. Draghi deve rimanere al suo posto, fu il responso popolare. E tra contrasti inverosimili e una girandola di candidati proposti e bruciati (a partire dal 24), il Parlamento, all’ottavo scrutinio, il 29 gennaio, si orienta a rinominare il Presidente uscente, Sergio Mattarella, a favore del quale lo stesso Draghi si era alla fine pronunciato. Restano tra gli altri, con le bandierine in mano pro Draghi (la chiameranno Agenda Draghi) Luigi di Maio, Matteo Renzi, Carlo Calenda e Enrico Letta. La sventoleranno ottusamente e continuamente fino alle elezioni politiche del 25 settembre, ignorando le vere istanze del popolo, vittima di una crisi economica mai vista, e decretando così la loro debacle, e il trionfo della destra.
Ma torniamo al gennaio 2022. Draghi, non eletto, è furibondo ma non lo dimostra, accusa la botta e va avanti. Torna al Parlamento a denti stretti, ostentando indifferenza, ma cambia il rapporto coi partiti. Meno concessioni, più rigidità verso quelli che non si erano sùbito piegati alla sua elezione. Più aperto o meglio contorto il disprezzo.
Il 18 febbraio 2022, nel mezzo della crisi energetica globale, il suo governo approva un pacchetto di 8 miliardi di euro a sostegno dell’economia, pesantemente colpita dall’aumento dei costi energetici. Non fa niente per indagare sull’origine dello stesso così da combatterlo congiuntamente agli altri Paesi.
A distrarlo felicemente dall’imbarazzo personale, si direbbe, il 24 febbraio Putin, da qualche decennio istigato in tutti i modi dal governo ucraino, invade il Donbass, dove nel 2014, ad opera del governo e dell’armata Azov erano state fatte 14.000 vittime, tra il silenzio mondiale. Europa inclusa. Quando invece proprio due suoi rappresentanti (Macron e Merkel) erano stati deputati a sovrintendere al rispetto del trattato di Minsk (1) , disatteso proprio dall’Ucraina il 3 settembre 2021.
Dopo che il 1° luglio (presidente Zelensky dal 2019) era stata varata la legge presidenziale n. 5506 ≪sui popoli indigeni≫ per la quale si riconosceva il godimento dei Diritti dell’uomo e del cittadino e delle Liberta Fondamentali solo agli ucraini (di lingua ucraina) di origine scandinava o germanica. Esclusi gli slavi. Danneggiati i russi, i romeni e tutte le minoranze presenti in Ucraina, che, dopo l’adozione di questa legge, si sentono persone di seconda classe. È la prima legge chiaramente razzista dopo 77 anni.
Putin pensava probabilmente che il Presidente Zelensky, in qualità di servitore del popolo, come amava proclamarsi (identificandosi col protagonista di una fiction, per lui scritta e da lui interpretata quale rodaggio del futuro ruolo deciso per lui), non l’avrebbe mandato allo sbaraglio, e avrebbe invece riconosciuto la giustezza della volontà di autodeterminazione di una comunità di lingua russa, soggetta per questo a leggi ingiuste, razziste, e a una marea di eccidi con i soliti contorni di stupri e crimini di tutti i tipi (riconosciuti dalle corti competenti). Ma Zelensky, addestrato ad hoc proprio dalla fiction interpretata, mirante alla sua educazione politica e all’operazione simpatia presso il popolo (73% di consensi nel 2019), sostenuto in tutti i modi da Usa/Nato, che lo vedevano come il grimaldello per scardinare e debellare la Russia, loro obiettivo principale da almeno 80 anni, ha spavaldamente resistito.
Tanto lui stava tranquillo e riverito in un bunker dorato, producendosi in selfie e video a ogni piè sospinto.
Tanto a morire e perdere ogni bene erano i suoi amministrati. Non suona strano che per gli ucraini che vivono negli scantinati Zelens’kyj, l’eroe degli occidentali, diventi il «clown maledetto» (2).
Subito scatta, già preparata nei minimi dettagli, la campagna pubblicitaria pro Ucraina, affidata a Hollywood e alla Silicon Valley.
I mass media per impietosire e ingenerare la condivisione protettiva, furono invasi da documentari di giovani che, cantando felici tutt’insieme, preparavano artigianalmente molotov e coperture mimetiche. Come a dire: oltre le pietre non abbiamo altro, dobbiamo difenderci da soli. Insomma come se l’Ucraina fosse una vergine implume e non già allora ai primi posti nell’esportazione di armi e snodo strategico di vendita armi per terroristi e criminalità di mezzo mondo. Come lo stesso Global Organized Crime Index nel rapporto 2021, l’aveva quotata. Pura propaganda dunque.
Il richiamo costante è quello della resistenza sino a far stabilire una similitudine fuori luogo con la resistenza italiana (saranno i dirigenti dell’Anpi a chiarirlo prima di essere costretti, per il clima intimidatorio sotteso, ad una ritrattazione ufficiale).
Il coraggio ucraino diventa addirittura un brand, come i profumi della Ferragni. Ad esso inneggiano giganteschi cartelli pubblicitari comparsi improvvisamente e contemporaneamente sui palazzi delle maggiori città in Europa. Si creano insomma le condizioni per far credere all’opinione pubblica che un agnellino innocente era stato aggredito dal lupo cattivo.
Delle altre 60 guerre nel mondo si tace.
La campagna pubblicitaria (3) , in sinergia con altre manovre concertate, funziona. Tutti i parlamenti, invitati o costretti, secondo molti, dagli Usa/Nato, si inchinano davanti a Zelenscky, che non perde occasione attraverso la sua equipe promozionale, diretta dagli americani (bravissimi in questo), di inserirsi in tutte le manifestazioni politiche, culturali, canore e sportive di qualche rilevanza per condizionarle. E spesso e volentieri rimproverare chiunque (in primis Papa e politici) pur di ottenere il loro appoggio incondizionato e ARMI, ARMI, ARMI. Questa la richiesta generale. Zelensky, nato attore, divenuto attore Nato, viene presentato come un guru (i richiami si sprecano, evocato persino Gramsci), e sul suo pensiero politico (pressoché inesistente) si pubblicano addirittura libri (pagati da chi?). Tutte operazioni queste che non potevano avvenire così rapidamente se non fossero state programmate e preparate da lungo tempo.
Giova qui ricordare il ruolo importantissimo del potente oligarca Igor Kolomoysky, “padrino” di Zelens’kyj. Dal triplice passaporto, quando l’Ucraina non ne ammetteva neppure due, già proprietario di Privat Bank (la più importante banca in Ucraina, coinvolta in diversi casi di bancarotta fraudolenta e investimenti illeciti), è uno dei principali finanziatori di alcuni dei gruppi paramilitari neonazisti ed ultra-nazionalisti, che nel 2014 hanno prodotto il colpo di stato che ha rovesciato il legittimo governo del Presidente Janukovic innescando 8 anni di instabilità e guerra civile nella regione, ed è anche proprietario di molte terre e azienze nel Donbass.
Secondo alcuni osservatori è lui il trait-d’union tra gli Usa/Nato e Zelensky.
È lui che lo seleziona (in un casting personale), lo propone e lo porta prima a fondare la casa produttrice Kvartal 95 Syudio, poi a produrre nel 2016 la fiction (scritta altrove) per un’educazione politica utile al futuro ruolo pensato per lui. Che puntualmente avverrà nel 2019: presidente col 73% di favore popolare (scenderà al minimo nel 2022, in quanto niente aveva fatto di ciò che aveva promesso per il popolo – aveva però acquistato varie proprietà personali, e in Italia una villa in Toscana di 4 milioni di euro).
L’Italia? Nonostante la nostra Costituzione ripudi la guerra e l’ammetta come estrema ratio solo in caso di attacco del proprio suolo (non di quello di altre nazioni) è in prima fila a favore dell’Ucraina, una nazione, che non sta nell’Ue, non sta nella Nato, ma è coccolata e sponsorizzata dagli statunitensi, con la longa manus degli inglesi in loco europeo. Si diffonde il pensiero unico di schierarsi a favore dell’Ucraina, chiunque mostri anche un timido dubbio viene bollato di putinismo e isolato. Non improbabili le ripercussioni personali anche in ambito familiare e tutti (ambienti universitari compresi) si adeguano.
Draghi nel marzo 2022 non solo manda aiuti umanitari e d’emergenza (dai farmaci alle razioni K), ma invia anche armi. Secreta però il decreto che contiene il numero esatto dei missili terra aria Stinger e missili anticarro Spike che verranno consegnati all’Ucraina. Sulla circostanza la stampa, corpo unico e coeso col Governo, non si sofferma più di tanto e l’Italia diventa cobelligerante a sua insaputa.
E mentre ad aprile e maggio seguiranno altri decreti per l’invio delle armi, la cobelligeranza con tutti i rischi immaginabili (escalation nucleare in primis) verrà percepita dalla popolazione solo a giugno con l’approvazione in parlamento della risoluzione di maggioranza, per l’invio delle armi a Kiev. Nella stessa seduta si approva l’impegno a “esigere” il ritiro russo affiancato da “iniziative utili alla de-escalation”, mai perseguito.
Intanto i rapporti con la compagine governativa risultavano per Draghi sempre più intollerabili.
Tant’è che il 21 luglio, approfittando di manovre non necessariamente compromettenti la sua prosecuzione, si dimette irreversibilmente. Le camere verranno sciolte e si voterà il 25 settembre. Lui rimarrà in carica fino a traghettare la neo eletta Giorgia Meloni al suo compito. Certo che, al momento del computo finale che gli preme, anche lei ci sarà all’appello. E il suo destino si compirà.
Sentiva di aver assolto al suo compito, rimarcatogli da Biden nel suo viaggio il 10 maggio alla Casa Bianca, a Washington: traghettare in guerra da capofila l’Italia . Quindi l’Europa.
Infatti argomento principe dell’incontro (oltre la conferma dell’amicizia, il partenariato, le relazioni bilaterali, il legame transatlantico, la cooperazione nel gestire le sfide globali) era stato proprio il coordinamento con gli Alleati sulle misure a sostegno del popolo ucraino e di contrasto all’aggressione ingiustificata della Russia.
E così, mentre a Washington ufficialmente aveva recitato, a favore dei media, la richiesta di pace per l’Europa, di fatto, al ritorno, a Roma approvava il terzo decreto interministeriale sugli armamenti da mandare in Ucraina, e a Bruxelles nell’incontro con gli altri capi europei, ricordava loro, ad uno ad uno: “Putin non deve vincere”. Cioè guerra ad oltranza fino al massacro reciproco e distruzione poi della Russia. Così che gli Usa/Nato potessero mettere le loro basi nella sua enorme estensione. E smerciare armi, armi, armi la loro ossessione (4). Per raggiungere l’egemonia mondiale.
Ma di questo non si doveva più parlare, troppi ne cianciavano, e c’era chi l’aveva messo pure in poesia (5), così che dopo il suo viaggio il 16 giugno in Ucraina con Macron e Sholz, sarà proprio lui a dichiarare in prima istanza: “Non ci ha chiesto altre armi”. Smentito persino dalle interviste, in quella circostanza, di ucraini/comparse che chiedevano sempre armi.
Ignorate totalmente le trattative. Nemmeno a parlarne. O meglio venivano nominate ma per dire che Zelensky era disponibile ma l’aggressore (definizione d’obbligo in pubblico) no. Sebbene la stampa, pur col bavaglio costante, avesse lasciato trapelare la notizia di una proposta precisa di Putin, proprio ad aprile. Proposta ufficialmente mai ricevuta o commentata da Zelensky, e che verteva sulla composizione del quadro che si sarebbe delineato dopo il referendum pubblico (23-27 settembre) (6) nella fascia sud-orientale. Quello, Putin, aveva chiesto ad aprile, quello ha realizzato.
Ancora oggi sarebbe sufficiente che Zelensky si mettesse al tavolo e si tratterebbe. Ma la corda al collo è tirata sempre più. E Zelensky, come risposta all’annessione, firma addirittura un decreto che sancisce l’impossibilità di negoziati con la Russia, fino a quando Putin resterà presidente della Federazione. Se ne dà notizia il 4 ottobre.
Usa/Nato vogliono stravincere a costo di ammazzare e distruggere tutti, per cui la presunta indisponibilità di Putin è il messaggio che deve veicolare in ogni luogo, persino nelle scuole Medie di secondo grado. Come la Dante Alighieri di Verona.
Dove proprio Mario Draghi, in visita il 20 maggio, tra l’altro, la insinua serenamente nelle giovani menti. Presentando un Putin chiuso al dialogo («ad ogni mia richiesta di pace rispondeva “non è il momento”, «ad ogni mia richiesta di pace rispondeva “non è il momento” ha ripetuto più e più volte) e un Biden angelico e pronto a volare all’incontro. Non ha mai detto ai giovani che non può parlare di pace a qualcuno chi manda le armi al suo avversario per abbatterlo.
Draghi sarebbe stato credibile se non avesse mai inviato armi in Ucraina. Ma queste sono sempre partite in abbondanza, affamando l’Italia, ed esponendola al massimo rischio in caso di un risvolto nucleare.
Al 6 ottobre si contano cinque stanziamenti. L’ultimo firmato da presidente uscente. Per qualcuno è l’ultimo colpo di coda italiana inferto dal dimissionario Mario Draghi, insieme ai ritardi sul Pnrr. Un’ultima vendetta della sua amministrazione/tregenda? contro chi ha osato non eleggerlo?
Per l’Italia costi elevatissini, che la mettono ancora di più in ginocchio.
Le bollette alte stritolano la popolazione, non solo i privati, ma anche le aziende, costrette a chiudere, buttando nel panico milioni di famiglie. La povertà in Italia si calcola infatti intorno ai 10 milioni. E siamo solo all’inizio.
Si prepara un autunno di fuoco. Grazie a chi l’ha acceso.
NOTE
1 Il primo punto inequivocabile degli Accordi di Minsk prevedeva un cessate il fuoco immediato tra filorussi e ucraini dal 15 febbraio 2015. Tale accordo è stato rispettato a corrente alternata. Di fatto, dal 2015 al 2022, nel Donbas si è continuato a sparare.
2 Vd. Vittorio Nicola Rangeloni, oltre.tv
3 “Banda Agency, un’agenzia creativa ucraina con sede a Kiev e a Los Angeles. Un’agenzia che aveva già collaborato col governo ucraino in altre campagne, una delle quali tre anni fa mirava – ahimè – a convincere le aziende del mondo ad investire in Ucraina. E accanto al logo di Banda appaiono altre grandi agenzie creative a supporto dell’operazione (non si sa bene che genere di supporto) quali Dentsu e Publicis. In una nota si spiega che le pianificazioni media in 15 paesi, tra i quali l’Italia, sono state rese possibili grazie a spazi offerti da Omd, Dentsu e Publicis.
Ma, soprattutto, si scopre che il progetto è «approvato dal Ministero della trasformazione digitale dell’Ucraina». E così appare tutto più chiaro: dietro a questa campagna da brand luxury con pubblicità nelle vie dello shopping di tutto il mondo c’è il governo ucraino.” (Selvaggia Lucarelli, Domani)
4 Stando ad un reportage del famoso fotografo Gabriele Galimberti (autore di “The Ameriguns “), ogni casa americana ne ha un piccolo arsenale.
5 “Noi e il nostro emissario ti daremo tutte le armi che vuoi, anche le più pericolose purché Putin non vinca. Mettile a “buon frutto” -sbaglia qualche lancio e aggrava la situazione sino a costringerlo al peggio nucleare. Continua ad oltranza, non mollare, ma ufficialmente tienici fuori. Diremo che non potevamo costringerti alla trattativa, alla resa, che sei libero di decidere, e tu deciderai, in piena libertà, quello che l’emissario vuole, e noi con lui: Putin non deve vincere (il diktat ha già fatto il giro imperativo a Bruxelles). Il macello del popolo che dovevi servire (gli fai comunque un bel servizio) e di quello russo dovrà essere solo colpa tua davanti ai posteri. Ce ne laviamo le mani. Diremo (se sopravviverete, ndr) che ci abbiamo tanto provato. Siamo i tre re magi, compagni di merenda di Ponzio Pilato” (Spoesia di Nadia Cavalera su fb)
6 Si è tenuto dal 23 settembre al 27, con esito favorevole alla Russia. Ma senza quell’entusiasmo iniziale minato dalla condizione attuale. Un conto sarebbe stato annetterli alla Federazione Russa senza morti e con le città in piedi, un conto con la devastazione attuale. Tutto preventivato. «Li volevi aiutare? Te li facciamo invece distruggere, e vediamo se ti vogliono più» si direbbe la logica tacita.
7 DECRETI INVIO ARMI:1)1Marzo 2)27 Aprile 3) maggio (seconda settimana) 4)19 luglio 5)4 ottobre 2022 (possibile la variazione nelle date di qualche giorno)
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