http://www.fermenti-editrice.it/schede/Superrealisti_Cavalera_Muzzioli.pdf
NADIA CAVALERA
Superrealisticallegoricamente
Fermenti, 2005, € 12,00
Recensione
di Francesco Muzzioli
Superrealisticallegoricamente, nel titolo lunghissimo, costituito da un avverbio chilometrico che ricorda la famosa formula magica di Mary Poppins, enuncia in modo esplicito la sua tendenza di scrittura. Come scrive Nadia Cavalera? Risposta: superrealisticallegoricamente. E però: cosa c’è dentro a quella parola-valigia? L’avverbio e la modalità sono tutti da spiegare, in quanto indicatori di una ricerca letteraria; e di una tendenza addirittura “doppia”, che tiene insieme il “superrealismo” (parente e riaffioramento dell’avanguardia storica surrealista, con la sua carica libertaria-anarchica) e l’“allegoria” (pervenutaci via Benjamin come poetica dello scarto e dell’interferenza, del rimando verso l’esterno e della significazione complessa).
Nadia Cavalera provvede da par suo in questo libro (pubblicato nella prestigiosa collana “alternativa” di Mario Lunetta, Controsensi) ad articolare la sua endiadi teorica e programmatica – già avanzata in altre sedi – con l’autorevolezza e la vulcanicità di una poliedrica produzione testuale, aggiungendo in più una parte aforistica e una appendice argomentativa. Vorrei dire, innanzitutto, che si tratta di una operazione su diversi fronti e su più livelli: la prima cosa che salta agli occhi è la tessitura “sonora”, nella quale viene inverata la poetica dell’oggettività della lingua, che può vantare il proprio ascendente nell’ambito del surrealismo (“Dopo di lei, carissima lingua”, diceva Breton). Ciò significa che le parole tengono un loro discorso che il poeta non deve creare dal nulla, bensì scoprire e assecondare. I suoni delle parole agevolano certi accoppiamenti (anzi nella poesia della Cavalera generano addirittura delle ampie sequenze), insomma producono versi-frasi in qualche modo necessari e internamente motivati. Prendiamo come esempio tra i molti possibili, un breve testo programmatico, La mia voce: «La mia voce un tempo flautata fatata fata di sogni heidi picchiettata con questo morso in bocca d’un mondo allocco è / baccalà fisso che stocca ogni corso ricorso torsolo senza rimborso ed io muta m’abbiocco come rotto balocco»; e notiamo subito la metrica lunga e lunghissima, in cui la funzione ritmica è presa in carico dalla fitta rete di assonanze, allitterazioni e rime, nonché dai giochi di scomposizione (il “baccalà” che si riproduce spezzato in “fisso” e “stocca”), e dove, a prescindere dall’identificazione delle singole procedure retoriche, ciò che conta è che la lingua scatti come per suo conto, sorprendendoci con i nuovi sensi che l’associazione mentale fa spuntare e scaturire quasi automaticamente. L’io si trova preso e disperso nella «Babele di segni e suoni», dove si fa «man bassa del linguaggio che la casa passa», nel «sovversivo verso» (da Io
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sono io: identità ironicamente tautologica). Le parole si scatenano incatenandosi e non solo nel trattenimento di respiro del verso a tutta pagina, o sequenza similprosa, ma anche nella forma breve, qui ripetutamente ripresa, di un haiku adattato («grullo
cocuzzolo / corridoio sfruscio / malanimo gruzzolo»). Le parole si ricalcano, con i tratti del trattamento parodistico: dallo pseudo-evangelico «Prendete e copiatene tutti…», all’aforisma «Non ci sono ragioni del cuore che il cervello non conosca», che rovescia
come un guanto la celebre massima di Pascal. Per di più, in questo libro, la Cavalera documenta anche la sua attività multisemiotica o, per così dire, intermodale, nella parte conclusiva dove si presentano quelle sue opere che sfruttano insieme l’immagine e la scrittura. Collages e calligrammi, anch’essi provenienti dall’area dei procedimentiì d’avanguardia, vengono riattualizzati e rinforzati attraverso il rapporto con il testo scritto che ne corrobora e ne dirige il senso innovativo. Perché insomma, qui, i significanti vengono a prendere posizione, al di là della apparente innocenza del loro gioco. Non c’è tendenza dei significanti che non si connetta alla strategia dei significati. La leggerezza dell’aspetto ludico è, quindi, rigorosamente ancorata alla solidità della protesta. E raggiungiamo così un secondo livello: circola nel libro una incoercibile vena “civile” che porta la poesia a schierarsi sui gravi problemi del presente, in uno stato di emergenza culturale e morale a cui la poesia non può sottrarsi né ritenersi estranea. È una linea di “impegno” che Nadia Cavalera ha promosso anche con la sua rivista “Bollettario”, raccogliendo un numero speciale in difesa della Costituzione, molto battagliero e sentito, che è uscito di recente. Tra i vari esempi di questa “mobilitazione poetica” potrà bastare un brano contro la guerra postmoderna: «Finché i tiranni rimarranno in sella lisciati coccolati tutelati risparmiati e ai remi galere il popolo la sua storia buco nero di / futuri sbarchi che scompare pare senza tracce solo luppolo di facce anonime in montaggi selvaggi (: grevi stages di pazzi / maggi)(: avanti il prossimo: il nuovo Kosovo!)»; è una strofa di Collaterali errori intelligenti). Basta per capire come il procedimento delle associazioni sonore e quello della polemica politica divengano davvero tutt’uno. Da questo punto di vista, Superrealisticallegoricamente è decisamente al riparo da qualsiasi obiezione di sperimentalismo astratto o di puro divertimento estetico; il suo linguaggio, invece, si carica di dissonanza sulla superficie verbale in contemporanea con la sua visuale critica sulle cose e sulla vita sociale, proprio nel momento in cui si è fatto fortissimo il processo di “colonizzazione delle menti” e di ottundimento dell’immaginario collettivo. In realtà, a guardar bene, pur essendo animati dal medesimo impulso, i due livelli operativi non sono propriamente identici, anzi, da un certo punto di vista, fanno l’opposto. I significanti, infatti, partono per la tangente, si liberano dalla dipendenza dell’uso pratico delle parole e si inanellano secondo una felicità associativa addirittura esagerata ed abnorme; al contrario, nel livello dei significati, vige l’obbligatorietà, dettata dall’etica – di fronte al degrado della vita collettiva non è possibile non incentrare la poesia sui temi “nodali”, che riguardano tutti. Ma allora potremmo anche dire: tra i significanti si sprigiona la libertà; nel significato, la lingua batte dove il dente duole, cioè sulla mancanza di libertà. Il significante è positivo e sta già oggi-e-subito nell’utopia; il significato è costretto a un lavoro negativo, nei guasti della catastrofe planetaria. Direi che proprio qui, in questo contrasto insito nella consonanza dei livelli, sfocia l’allegoria dei testi di Nadia Cavalera: essi significano allegoricamente la contraddizione del nostro stare con la speranza nel futuro, ma con la prassi nell’inerzia
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del presente; scoprirci intenzionalmente interi e inconsciamente divisi; sentirci creativi nella strategia della sorpresa ma faticosamente al lavoro dentro i materiali preesistenti della lingua e dell’immaginazione.
Mentre la poesia corrente compensa la sua perdita di prestigio rinserrandosi nella pratica magico-carismatica dell’evocazione simbolica o dell’emozione soggettiva dell’io, dimenticandosi (penso anche alle rappresentazioni del “poeta” nella cultura di massa) di tutti gli sviluppi dell’enigma-modernità, Nadia Cavalera si situa dalla parte di una poesia intesa (recita per l’appunto uno dei suoi aforismi) come «esaltazione degli scarti, del difforme alla ricerca di una forma, da superare: il resto è, più o meno capace, imitazione». Insomma, contro il simbolo dominante, seguendo l’opposizione benjaminiana, la Cavalera elegge l’allegoria.
Il titolo stesso della raccolta può essere compreso allegoricamente. Dicevo che il titolo esprime una dichiarazione di tendenza, per giunta doppia (superealtà+allegorismo). Ora, oggi, la tendenza letteraria è trascurata e negletta, sospetta non solo ai santoni del valore classico, che considerano la letteratura come un eliso di capolavori, ma anche agli stessi autori contemporanei, che temono prevaricazioni e irregimentazioni, sicché la tendenza è divenuta per molti versi “impossibile”. E non è certo un singolo testo che potrebbe rappresentarla o farla sorgere dal deserto in cui siamo finiti. Tuttavia la tendenza è e rimane indispensabile; anzi, a mio parere, non può scattare alcun interesse per la letteratura e la poesia se non a partire dal ritrovamento in esse di una tendenziosità culturale e in ultima istanza politica (ossia, in parole povere, dal loro risvolto strategico generalmente e prosaicamente “umano”). Potremmo dire che la Cavalera indica anche in questo caso una contraddizione fondante: il suo libro, a partire dal titolo, si offre come l’allegoria di una tendenza, di quella tendenza “antagonista” che non c’è ma ci dovrebbe essere, pena la vanità della letteratura; e la cui assenza viene nello stesso tempo esibita e riempita con l’istanza costruttiva e polemica del libro.
Se il titolo lunghissimo ricorda la famosa formula magica di Mary Poppins, non ci dobbiamo dimenticare che quel «Supercalifragilisticexpialidocious» era la frase di un soggetto muto che finalmente si convinceva a parlare: era cioè la frase di un soggetto recalcitrante che al dunque si metteva a dire “tutto in una volta sola”. Ma questa è diventata una ovvia esigenza nella poesia di oggi, data la chiusura degli spazi e della “udienza del poeta”: una volta che si parla, si è obbligati a dire “tutto” e in uno spazio ristretto. Di qui la concentrazione della contraddizione che si traduce in una figura sprizzante scintille e l’effetto allegorico di una immagine sintetica e contrastata, in cui, come mostrano i testi di Nadia Cavalera, vengono gettati dinamicamente e dialetticamente significanti e significati, fantasia ed etica, invenzione pirotecnica e critica delle immagini.
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