Cimitero di Villa Cella, gennaio 2007 |
Bastava lanciarle un filo, anche il laccio di una scarpa al grido di “filino…filino” e lei subito scattava giù dal letto (normalmente giocavamo quando io riposavo) e me lo riportava. Instancabile. E orgogliosa delle sue prede: le falene. Quando ne portava a casa qualcuna lo si sapeva subito, perché emetteva un canto di profondo giubilo mai sentito da altri. Una mista melodia di balene e sirene. Una poetessa amica, nostra ospite per qualche giorno, ebbe modo di sentirla e ci rimproverò di non averla mai registrata.
Ma quanti ricordi… Qui solo un altro.
Una volta rimase chiusa in soffitta, collegata all’appartamento da una scala retraibile.
Ebbene, visto che non ce n’eravamo accorti subito, lei fu capace di spingere col musetto una vaschetta con dentro grosse pietre (erano stati eseguiti dei lavori da poco), sulla scala, producendone l’apertura rumorosa per la caduta della vaschetta e il suo contenuto. Sapeva cavarsela! Altro che.
Ma per ritornare al Cimitero, in quell’occasione, ci raccomandammo al proprietario perché non occupasse lo spazio intorno, in quanto avremmo voluto, in futuro, tenere le nostre quattro gattine vicine. Per questo, quando nel 2007 ci chiese, tramite lettera, altri 100 euro (il costo della sepoltura era stato di oltre 200), per la manutenzione fino al 2010, non abbiamo battuto ciglio (conservo copia del bonifico sulla sua Poste Pay).
Ci siamo tornati altre volte in quel cimitero, sempre più sciatto nell’insieme, ma che negli addobbi delle tombe (pupazzetti, piccoli oggetti), continuava a testimoniare il grande affetto dei parenti umani. Ci andammo credo proprio fino al 2007. Dopo questa data gli impegni e la distanza (due ore di viaggio tra andata e ritorno) ce l’hanno impedito. Ci siamo ritornati giusto a fine luglio, primi di agosto, quando Betta stava male, per verificare la possibilità richiesta di metterla lì, con Santa, nell’eventualità del decesso.
Ma quale non è stata la nostra sorpresa nel vedere tutto smantellato: nessuna cappella e lapide, nessuna croce, nessun cancello (nella lettera si era premurato di ricordarci la combinazione del lucchetto: 1-2-3-1): un grande spazio arato in profondità e con uno strano mucchio di detriti sotto un albero. A guardarci bene, abbiamo visto spuntare qua e là, ben occultati, parti di marmo, fiori finti, pezzi di legno. Non c’era dubbio: quello che non era stato maciullato, era stato accatastato lì. Sotto quell’arbusto a ridosso del canale.
Santa Babet e tutti gli altri piccoli animali sparsi per quel campo. Dove ho lasciato comunque un fiore. Sempre più convinta che siano loro a meritarli, più di certi uomini, indegni di qualsiasi considerazione, che fanno anche degli animali un business e se in difficoltà non si preoccupano neppure di avvertire chi di dovere.
Il campo pare che sia stato smantellato molto tempo fa. Subito dopo le somme intascate e che dovevano garantire la permanenza almeno fino a tutto il 2010? O già prima? Quei numeri erano una beffa?
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Nadia Cavalera, sulla tomba di Santa Babet , nel Cimitero di Villa Cella, Il giorno della sepoltura (18 gennaio 2004) – Saro Sessa , gennaio 2007 |
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