Opera di Gianni Toti presentata per le mostre: “I Mutamenti dell’Arte”, a cura di Tomaso Binga, Lavatoio Contumaciale, Roma, 2002;
e “IO sono il titolo” a cura di Sergio Zuccaro, catalogo Dedalus, Roma 2004.
Rincorrendo ricordi
di TOMASO BINGA
– Grazie per la bella fotocopia della tua immagine da bambino con gatto che hai voluto regalarmi per la mostra del Lavatoio Contumaciale- dissi a Gianni andando via dalla sua casa con il suo manufatto.
– Mi raccomando devi scrivere… c’ero una volta, c’ero con la “O” …e non con il mio nome ma come Johannes Totìus –
– Stai tranquillo, tutto sarà Ok per la serata!- dissi
– Non pronunziare più questa parola… la… la… aborr-igeno!!!- esclamò indispettito.
– Ok – risposi, mi era di nuovo scappata… la maledetta parolina!
– Sei incorreggibile- sbuffò severo e con un dito mi spinse fuori dalla porta -non voglio più sentirla…! quella parola mi fa orrore!-
– Va bene! Va bene! e lo salutai ridente e fuggitiva.
***
Credo di non poter parlare di Gianni Toti senza descrivere la sua casa che lo rispecchiava in pieno, è il caso di dire, tanto era colma, stracarica di libri, fogli, oggetti, quadri, appoggiati dappertutto ma prevalentemente posteggiati lungo un corridoio diventato così stretto, un vicolo, dove a stento ci si passava. Ma era proprio quella strettoia che lo agevolava nel muoversi e nel trovare ciò che il momento richiedeva: i suoi occhi erano le sue mani che gli permettevano di rovistare tra fogli e cartelle che passava poi al vaglio di uno sguardo ravvicinato.
Conoscevo già la sua casa per esserci stata insieme a mio marito Filiberto negli anni ‘70, quando Toti dirigeva la rivista “Carte Segrete”, casa che, all’epoca, mi colpì molto per quell’aria colorata e orientale di tutto pieno che si respirava, dai pavimenti completamente ricoperti di tappeti, alle pareti colme di quadri, ai soffitti rivestiti di manifesti.
Ne ero rimasta abbacinata soprattutto per il confronto con la mia casa tutta bianca dal pavimento alle pareti, priva di tappeti, tendaggi e oggetti, con pochi mobili svedesi e quadri di arte contemporanea alle pareti, dove il colore era dato solo dai libri degli scaffali.
Gianni era così, come la sua casa, pieno di idee che sfornava in continuazione, instancabile viaggiatore, poteva parlare per ore di luoghi e di persone, di arte e di politica, ma soprattutto di progetti, progetti, progetti da realizzare.
Con Gianni negli anni ci siamo spesso incontrati, non solo per caso a mostre e convegni, ma anche come partecipanti e organizzatori di eventi.
Ricordo nell’88 a Torino, fui invitata dalla cooperativa “Hiroschima Mon Amour” su segnalazione di Gianni, consulente artistico, alla manifestazione “Poetecne” insieme alla già famosa Arbizzani alla quale chiesi di poter dormire nella sua stanza, perché non mi fidavo di stare da sola, in quella paurosa, squallida e malfamata pensione dove ci avevano dirottato per il pernottamento per mancanza di posti ma soprattutto di mezzi. Al mattino redarguimmo a dovere gli operatori culturali che ci avevano segnalato. Ho citato questo episodio per far capire come un Gianni Toti, artista già noto in tutto il mondo, continuasse a elargire la sua esperienza di critico e di artista a chi glielo richiedeva solo per il piacere di fare e di aiutare.
***
All’ ingresso del Tempietto Egizio del Verano di Roma, dove si sono svolti i suoi funerali, un gatto maculato ci è venuto incontro, ci ha accompagnato all’ interno ed è rimasto lì durante tutta la cerimonia.
Un artista ( Sergio Zuccaro ndr) aveva deposto sulla bara una foto di Gianni bambino seduto su di una sedia con un gatto in braccio.
Era la foto dell’incipit del “c’ero una volta…mi raccomando c’ero con la O”.
Ma allora… il gatto maculato che ci è venuto incontro, ci ha accompagnato all’interno ed è rimasto lì durante tutta la cerimonia….chi era veramente?
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