Terremoto: la visita di Monti “La parola che non ci è stata detta”
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di Enrico Grazioli Non ci si aspettava il calore di Pertini (“Dove è andato a finire il denaro degli aiuti ai terremotati?”) Né una lacrima alla Fornero. Né, per carità, alcuna nostalgia del Berlusconi col caschetto, pacca sulla spalla e via, che irretiva gli operai della ricostruzione in Abruzzo: “Siete tutti gay? Vi porto io le veline…” Ma vivaddio, professor Monti: la sua visita a Finale è scivolata via algida e sterile, lasciando un po’ così i modenesi che confondono il battito del loro cuore con l’infinita scossa di una terra difficile in questi giorni a definirsi madre. Un blitz, dopo gli inclementi fischi ferraresi, tutto distintivi e cordone di sicurezza, niente chiacchiere ma neppure un abbraccio: lo sguardo compreso nella gravità del momento e dei pensieri, più che interessato a vedere e lenire la carne viva delle ferite a un paese che non c’è più ma vive ancora; poche battute a stampa e tv, meno ancora a volontari e sfollati, sembrava piovesse ancora il freddo di lunedì: attenti a passare di lì, c’è fango. Vede, è bello sentir dire che, qui, nella capacità di reagire emerge il “nostro essere nazione”: ma noi, qui, lo sapevamo già, perché lo siamo e lo sentiamo anche quando non ci crolla in testa il mondo che abbiamo costruito con le nostre fatiche. E’ che, per quanto forti, pur consapevoli del clima di austerità senza che qualcuno ce ne debba fare la réclame di persona, volevamo sentirci un po’ meno soli: grandi e piccini. Ha ragione il vescovo: le istituzioni rispondano con i fatti, senza proclami. Ma sa com’è, presidente, i fatti… A volte una parola, meglio se detta da lei che non vende il fumo delle promesse, serve, dà fiducia. Speriamo arrivi presto quella giusta, anche senza doversi incomodare a tornar qui. Su, presidente: coraggio!
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