Il libro
Il volume, nato come numero speciale a carattere monografico della rivista di variazioni poetiche “Marsia”, è un omaggio, colmo di gratitudine e affetto, ai novant’anni di Cristanziano Serricchio. Gli interventi critici, tutti lavori originali, toccano tanto le corde dell’amicizia personale quanto quelle dell’analisi interpretativa del pensiero poetante del Garganico.
La preziosa testimonianza di Franco Loi riannoda i fili di un lungo sodalizio umano prima ancora che letterario. Due grandi maestri le cui strade si sono incrociate durante l’affannoso viaggio della vita e della scrittura. E “L’impensato viaggio” è appunto il titolo di un poemetto incompiuto di Serricchio, che, insieme a tre liriche e a un saggio sulla poesia dialettale, forma la sezione degli inediti d’autore. Il libro si inoltra nel versante lirico del Sipontino, un alveo capiente dove rifluiscono, filtrate attraverso l’estro creativo, le memorie di studioso di letteratura, storia e archeologia. Se ne dà conto nell’ampia nota bio-bilografica di coda.In allegato un CD audio con letture di Cristanziano Serricchio.Contributi di
Carlo A. Augieri, Giorgio Bàrberi Squarotti, Andrea Battistini, Giovanni Dotoli, Ettore Catalano, Domenico Cofano, Giovanni Giraldi, Salvatore Francesco Lattarulo, Franco Loi, Anita Piscazzi, Maria Luisa Spaziani. |
Il curatore
Salvatore Francesco Lattarulo insegna italiano e latino nei licei. È dottore di ricerca in Filologia classica e giornalista professionista. Ha conseguito il master di giornalismo presso la scuola dell’Ordine dei giornalisti di Bari. È redattore del semestrale “incroci”. Scrive per varie riviste letterarie (“l’immaginazione”, “Pagine”, “Capoverso” ecc.). Collabora con il “Corriere del Mezzogiorno”, edizione regionale del “Corriere della Sera”. Gli è stato attribuito il premio di giornalismo “Franco Sorrentino”, edizione 2012.Si è spento nella sua casa di Manfredonia a 90 anni
da GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO,2.09.2012
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Addio a Serricchio
il poeta vissuto
col Gargano nel cuore
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di DANIELE GIANCANE
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Cristanziano Serricchio è stato un autore prolifico che ha spaziato in vari ambiti creativi (poesia anzitutto, ma anche – e con efficacia – narrativa, scrittura per ragazzi, saggistica) e, per le sue qualità, è stato costantemente seguito dalla critica letteraria più avvertita (da Oreste Macrì a Mario Sansone, da Luzi a Michele Dell’Aquila, da Barberi Squarotti a Ramat e Giachery). Cominciò la sua «carriera» letteraria nel lontano 1950 con Nubilo et sereno, cui seguirono molteplici testi, da L’ora del tempo (1956) a L’occhio di Noè (1960), a Stele daunie (1978)…Tra le ultime sue opere: L’islam e la croce (Marsilio ed., 2002), c’è lo splendido racconto basato su un episodio storico, ovvero il sacco di Manfredonia da parte dei turchi nel 1620. È la storia di Giacometta, una bambina di otto anni, rapita dai turchi dal convento delle clarisse e condotta schiava nel Topkapi di Istanbul. Qui diventerà la favorita del sultano, cui darà l’atteso erede Osman. Il quale, quasi per contrappasso, verrà a sua volta rapito ed educato al cattolicesimo, diventando Domenico Ottomano. Così la storia si configura con un incontro/scontro fra due civiltà entrambe grandi e, in fondo, similari per molti aspetti.Anche alla letteratura per ragazzi di Serricchio ha offerto gradevoli e avventurosi testi: basterà citare Il castello del Gargano e La montagna bianca, che sono da annoverare fra i buoni romanzi di formazione. Le stele Daunie, Giacomina, il Gargano…: la produzione letteraria di Serricchio (di cui la casa editrice foggiana Sentieri Meridiani pubblicò qualche anno fa l’«opera omnia») è profondamente collegata alle radici storiche della sua terra – era nato a Monte Sant’Angelo ma è vissuto a Manfredonia – e ha fondato sul valore della memoria la riflessione attorno ai significati dell’esistenza. E anche come funzionario pubblico provvide a perfezionare la cessione del castello di Manfredonia allo Stato a patto di farne un Museo nazionale. Soprattutto nei primi decenni della sua attività, Serricchio venne considerato essenzialmente come il poeta delle «stele daunie», del simbolismo degli ulivi e delle secrezioni calcaree delle grotte garganiche, di una lirica allusiva, sotterranea, «archeologica». Poesia che ha sempre cercato di sottrarsi alla tentazione del grido, per ripiegarsi invece in una lenta e profonda meditazione.Il rapporto fra presente e passato è sempre stato vivo in lui, perché il nucleo della sua poesia è stato costantemente il tempo, la memoria, che è la sola bilancia o l’oblò da cui la realtà può essere compresa. Sentimento del tempo, quindi, e angoscia del temo perduto: «Propongo le parole delle stele,/ immagini non contestate d’un tempo/ sepolto da spessi strati di silenzio». Soprattutto in un’epoca (la nostra) che è quella dell’incertezza, della disumanizzazione, della mistificazione. E se comunque resta nei suoi versi l’immagine della Puglia mitica («Dove assetata la mia terra scende/ nel mare con cavernose radici/ seccano i fichi al sole sulle canne/ e s’inaspriscono cicale e ulivi…») è certo che la poesia di Serricchio conserva una sua perennità. E se le stelle restano mute, è la parola che da sola si assume il grande compito di manifestare la fondatezza dell’essere. È la parola pensata che aiuta a orientarsi, a ritrovare la radice di uomini. Proprio per queste sue caratteristiche la poesia di Serricchio appare sempre uguale a se stessa (persino quando ha scritto un libro di haiku) come timbro, intensità, suono. La sua è stata sempre una voce riconoscibile, una sorta di colloquio aperto e leggero.
Lirismo contemplativo ed esistenziale che non mutò (sia pure, naturalmente con accenni diversi) dopo la scomparsa della cara moglie, cui dedicò un intero libro. In un intervista del 2004 Serricchio svelò che i suoi maestri erano Leopardi, Hugo, Pascoli, Quasimodo, Valeri, Gatto, Luzi, Bacchelli; che il suo volume L’Islam e la croce era nato dal desiderio di conciliare le due grandi religioni, contro coloro che pensano (in quegli anni ricordiamo che la Fallaci sparava a zero contro i tentativi di tolleranza fra cattolicesimo e religione musulmana) che siano irriducibili. Inoltre ai giovani poeti dava il consiglio di non lasciarsi andare solo all’ispirazione: il genio poetico richiede lunga pazienza e nasce da un luogo solitario della mente, in un luogo che non sappiamo definire e ubicare, ma dove solo la parola necessaria a dire quel sentimento ha diritto di essere pronunciata. La letteratura è sempre impegnata certo non morirà mai, anche se si trasformerà, le nuove tecnologie non potranno cancellare la poesia, perché gli uomini sono eterni ulissidi della parola. Alla domanda: «Una vita per la poesia. Ne è valsa la pena?» Rispose: «Senz’altro; al di là dei giudizi altrui, la poesia mi ha insegnato a vivere». Poi, ai posteri l’ardua sentenza, come scrisse in un bellissimo testo: «Che resterà di te, di me, di quest’ora che non cede al tramonto?». |
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Dal CORRIERE DEL MEZZOGIORNO, 1 settembre 2012
È stato candidato al premio Nobel. Primo libro nel 1952
Cristanziano Serricchio
BARI – Lutto nel mondo della poesia. Questa mattina è morto, nella sua casa di Manfredonia, Cristanziano Serricchio. Aveva da poco compiuto 90 anni ed era stato candidato a un comitato spontaneo della sua città e dall’istituto di cultura di Napoli al premio Nobel per la letteratura.
L’ULTIMA USCITA – Lo scorso luglio al festival di Polignano a Mare, dove è stato presentato un numero speciale della rivista «Marsia» a lui dedicato dal titolo La voce del gabbiano, la Regione Puglia gli ha conferito una targa d’oro. In quella circostanza fu effettuato un collegamento via Skype con casa Serricchio. Il suo primo libro di poesia è del 1952 dal titolo Nubilo et Sereno. Ha pubblicato più di 20 raccolte poetiche, l’ultima è Il Vento di Praga, uscito per Manni. È stato autore anche di romanzi di cui il più significativo resta L’Islam e la Croce (Marsilio). È stato anche studio, attento e appassionato, di storia e archeologia del territorio. È il decano dei poeti pugliesi.
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