Blog — 04 Maggio 2025

4 maggio 2025

VULNERABILITÀ COME FONDAMENTO: UN CONFRONTO TRA ADRIANA CAVARERO E JUDITH BUTLER

di Nadia Cavalera

Nel cuore del pensiero contemporaneo si fa strada un concetto che infrange l’immagine classica del soggetto autonomo, razionale, autosufficiente: la vulnerabilità. Se la filosofia moderna ha privilegiato il soggetto cartesiano, padrone del pensiero e del corpo, la filosofia postmoderna e femminista si è mossa in direzione opposta, riscoprendo il corpo, la dipendenza, l’esposizione. In questo quadro, i pensieri di Adriana Cavarero e Judith Butler si offrono come due declinazioni radicali e divergenti di una stessa intuizione: non esiste soggetto senza relazione, e non esiste relazione senza la possibilità della ferita.

  1.  Una ontologia dell’esposizione

Per Cavarero, la vulnerabilità è l’indizio di una verità più profonda: l’essere umano non è monade chiusa, ma figura esposta, incarnata, narrabile. L’io non si costruisce a partire da un’interiorità autosufficiente, ma si svela nel volto, nella voce, nella narrazione che l’altro fa di noi. In Relating Narratives (2000), Cavarero ribalta la metafisica del soggetto: non l’autoposizione, ma l’alterità narrante fonda il sé.

In questa prospettiva, la vulnerabilità non è una condizione accessoria, ma il segno ontologico della relazione originaria. Ogni vita è singolare, irripetibile, ma mai chiusa in sé: è sempre esposta all’altro, alla sua cura come alla sua violenza.

Judith Butler condivide questa intuizione relazionale, ma la declina in termini più genealogici e post-strutturalisti. In Precarious Life (2004) e Giving an Account of Oneself (2005), Butler non parla tanto di un “sé narrabile”, quanto di un sé opaco, decentrato, costituito dal linguaggio e dai regimi di potere. Anche qui il soggetto non è sovrano, ma la vulnerabilità che ne deriva è una conseguenza della sua inscindibile immersione nel sociale, nei codici normativi, nelle griglie di riconoscimento.

In breve si può dire che Cavarero ontologizza la relazione, Butler la politicizza.

  1.   Etica della cura vs etica del riconoscimento

Le conseguenze etiche di questa vulnerabilità si biforcano nei due pensieri. Per Cavarero, riconoscere l’altro come vulnerabile significa assumere la responsabilità di proteggerne l’unicità. La relazione etica non si fonda su norme universali, ma sul volto dell’altro, sulla sua irripetibilità incarnata. È una etica della cura, profondamente debitrice di Arendt e Levinas, ma riletta in chiave femminista.

Butler, invece, insiste sull’asimmetria del sapere di sé. Non possiamo mai dar conto pienamente di noi stessi, perché siamo sempre già implicati in reti linguistiche che ci sfuggono. Da qui deriva una etica della responsabilità non fondata sulla conoscenza, ma sull’accettazione della nostra opacità e della nostra co-dipendenza. La vulnerabilità, in Butler, è anche condizione di giustizia, ma solo se essa è riconosciuta pubblicamente: da qui l’insistenza sulle vite “piangibili” (grievable).

Cavarero chiede che il vulnerabile sia ascoltato come essere incarnato e irriducibile. Butler chiede che il vulnerabile sia riconosciuto come parte del mondo comune, che le sue condizioni materiali e simboliche siano visibilizzate.

  1. Politica della violenza e della resistenza

Il tema della vulnerabilità, in entrambe, non è mai neutro. È sempre implicato con il potere e con la violenza.

In Horrorism (2007), Cavarero mostra come la violenza contemporanea (dal terrorismo alla guerra sui civili) non si accontenti più di colpire il nemico armato, ma cerca l’inerme, l’umano nella sua massima esposizione. Nasce così il concetto di “horrorismo”, dove la vulnerabilità non è solo condizione, ma bersaglio deliberato. Da qui, un’esigenza etica pressante: proteggere il vulnerabile proprio perché è tale, non nonostante lo sia.

Butler, dal canto suo, mostra che non tutte le vulnerabilità sono politicamente equivalenti. Alcune sono visibili, altre invisibilizzate. Alcune sono protette, altre abbandonate. Da qui la necessità di una politica della precarietà, in cui il riconoscimento delle vite vulnerabili diventa atto di resistenza. Un corpo che si espone pubblicamente (nelle manifestazioni, nelle piazze) è vulnerabile ma anche attivo: è l’ambiguità della “resistenza incarnata”, dove la fragilità non esclude l’azione.

Così, In modi diversi, Cavarero e Butler ci costringono a riconsiderare l’umano a partire dalla sua esposizione costitutiva all’altro.

E se Cavarero ci invita a tornare al volto, alla narrazione, alla singolarità dell’io incarnato che chiede cura, Butler ci spinge verso un’etica del riconoscimento, che assume la vulnerabilità come cifra della nostra interdipendenza politica e discorsiva.

Due pensieri che si sfiorano, si criticano, si arricchiscono. Due voci che, pur nella distanza teorica, concordano sul fatto che l’umano non è mai solo, né invulnerabile.

 

Share

About Author

Nadia Cavalera

(0) Readers Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *