Critica Selezioni — 28 Giugno 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2005 Ultra Sperimentalismo ovvero la poetica del non senso apocalittico in «Autograf . Revista lunara de cultura », nr. 4/2005, p. 4

Saggio di George Popescu,
italianista, poeta, traduttore e critico letterario, membro dell’Unione degli Scrittori di Romania, caporedattore della rivista multilingue “Paradigma” e della rivista “Autograf”.

 

Ultra sperimentalismo ovvero la poetica del nonsenso apocalittico

Un paio di mesi fa (qualche mese fa) ho ricevuto dall’Italia un pacco con(tenente) libri e riviste da parte di una poetessa il cui nome mi era già noto e la quale mi aveva telefonato, in una tarda serata di gennaio, per chiedermi la mia collaborazione. Il suo nome era Nadia Cavalera e lo avevo visto nel colophon, sia nell’edizione presente nel mercato (numero attualmente in edicola) che in quella che si trova in Internet, in qualità di responsabile, assieme a Edoardo Sanguineti, della rivista “Bollettario”, (che viene) pubblicata a Genova e nella quale avevo identificato un tentativo in liminis di rinnovare la poeticità sotto il segno di un ultra/neo/post – sperimentalismo.

I libri le appartenevano, certamente. Non mi considero, anche se mi rifiuto anche una minima dose d’orgoglio (per quanto mi rifiuti anche la più piccola dose…), un neofita in ciò che riguarda lo sperimentalismo e i tentativi di rinnovo radicale del poetico. Familiarizzato con l’avventura della “nuova avanguardia” italiana, conosciuta anche sotto altre denominazioni (“I Novissimi”, “Il Gruppo ‘63”), così come con quella dei poeti allineati (appartenenti) al “Gruppo ‘93”, non mi aspettavo grandi sorprese, almeno non a livello strutturale.

Tuttavia, le esperienze poetiche proposte e accettate (assimilate/assunte) da Nadia Cavalera, nonostante la presenza, a tutti i livelli discorsivi, di alcune delle più clamorose (eclatanti) offerte innovative precedenti, vanno ancora più avanti e creano, alla prima lettura, una sensazione di sorpresa (choc), uno sbilanciamento (un capovolgimento) dell’orizzonte d’attesa (aspettativa), anche per un lettore modello, così come veniva definito da Eco.

Scrivendo frequentemente della critica, in qualità di collaboratrice di varie pubblicazioni, ma anche della poesia, basata su una scrittura (uno stile) che oscilla tra un intertestualità di tipo kristeviano e una, diciamo, più rilassata, così come è stata definita da qualche parte sempre da Eco, l’autrice si iscrive in (allinea a) idiomi poetici che assumono un programma sperimentale, andando però ancora più avanti, come già anticipavo, per proporre e inventare delle strutture idiomatiche che sfidano ogni pretesa di logica semantica.

 

Un volume degli anni ’80 s’intitola, provocatoriamente,  Amsirutuf: enimma. Il titolo stesso, inventato certamente ad hoc, si rifà, per i giochi lessicali, ad un progetto (neo oppure post) – avanguardista, in quanto, persino nel progetto strutturale del libro, come precisa nell’introduzione il poeta e  critico Adriano Spatola, gli elementi che compongono la struttura di una pagina-poesia sono: il segno, la linea musicale (musicalità), la scrittura e la scrittura a ritroso (meglio detto, la lettura a ritroso, cioè la lettura dei versi e delle parole dalla destra alla sinistra). In questa chiave, Amsirutuf enimma sarebbe Futurisma: ammina; dove “futurisma” (…) potrebbe essere anche un accenno al futurismo e agli indimenticabili esercizi stilistici marinettiani, mentre “ammina”, rappresenta (forse) semplicemente il termine chimico, l’ammina. Ma affascinante mi pare, in questo volume, la tipica struttura compositiva  della pagina-poesia, la quale non è più soltanto poesia, bensì gioco di raffigurazioni geometriche e enuncio-spartito rigorosamente musicale. Prendiamo (quasi) casualmente un esempio del testo-base per così dire : trasudano sangue / tramonto // ………………../ cielo / i riccioli d’un vecchio / nubi / sulla nostra cecità / che ammicca […………………..]. Nell’angolo destro a piè di pagina, il testo suona così : eugnas onadusart / otnomart //………./ileic/ oihccev n’d iloiccir i / ibun / aticec artson allus / accimma ehc e cioè (…). Ho voluto proporre questo esercizio (di lettura-traduzione) appunto perché mi sembra sintomatico per una delle tappe ultra sperimentaliste di Nadia Cavalera, rassicurando il lettore che l’intero assurdo della variante alla rovescia (…) del poema rimane identico in tutte le due lingue.

Certo, ci troviamo nella prospettiva di una poetica del nonsenso, così come è stata messa in opera soprattutto dai poeti anglo-americani; l’autrice italiana riprende, con una specie di sopra-gusto del ludico direi, l’esperienza e la ri- (oppure più esattamente) de-struttura tramite alcuni artifici coadiuvanti extra-poetici. Tuttavia il non-sense è qui, e in primo luogo, la messa in gioco di un assurdo che conserva tuttavia, a livello di una prima lettura, l’intero sapore di una poeticità per così dire trasparente, che sa appena di confessione.

 

In un volume successivo, Brogliasso (che tradurrei in romeno “Urzeala” puntando così sul senso intrigante del termine), l’autrice cambia la tecnica, ma conserva, in limine, lo stesso gusto per lo sperimentalismo e, per di più, offre una costruzione complessa, con dei poemi scritti per occasioni speciali (manifestazioni culturali oppure con impatto politico o sociale), pubblicati in varie riviste o raccolte, alcuni trasformati in composizioni musicali, volte a creare, secondo me, un poema “sinfonico”, una specie di “cantata” post-bachiana, laica, che ha tratto beneficio dall’inserzione critica del grande critico (e, a sua volta, poeta) Giorgio Barberi Squarotti. Lo “scenario” tipografico consiste questa volta nella distribuzione dei testi in direzioni opposte, intercambiabili tra di loro; in effetti, il libro può essere letto linearmente, da ovunque lo si apra. Sebbene non vi sia, per così dire, una quarta copertina, l’offerta dell’autrice è, questa volta, diversa, nel senso che il lettore è invitato a due letture, ovverosia a due testi completamente diversi. Ci sono, ad esempio, pagine di un libro (scritto in base a dei documenti presi da un diario della prima guerra mondiale), nonché delle pagine critiche, testi-messaggio e vari interventi occasionali.

Rispetto al (per quanto riguarda il) registro poetico, anch’esso si moltiplica: da un lato, osserviamo una scrittura pressoché “trasparente”, che “pedala” su una continuità incongruente, a volte immonda, e dall’altro lato, uno stile  volutamente post-moderno, con grandi e frequenti débouchés narrativi. Eccone un esempio: [……………………………]

Dovrei aggiungere che persino il lettore che non condivide il gusto dello sperimentalismo, così radicale a volte, come quello proposto da Nadia Cavalera, in poemi come questi potrà trovare la piena espressione della vocazione artistica dell’autrice, dimostrata innanzi tutto dall’euritmia polifonica, dall’orchestrazione del flusso lirico che va a salvare così, a livello stilistico, quel progetto tematico dell’incongruenza e del nonsenso.

 

Infine, nel suo ultimo volume di poesie, che porta, similarmente agli altri, un titolo provocatorio, Salentudine, e un sottotitolo-precisazione “nonsense in dialetto galatonese”, possiamo trovare solo un vago e, al limite, ingannevole invito semantico, dato che l’avvertenza sul volume ci porta a dedurre che l’autrice abbia preferito “giocare”, direi io, nel modo “urmuziano“, cioè nel creare alcuni testi di tipo favola – indovinello – battuta, ognuno scritto in varianti dialettali leccesi (Lecce essendo il luogo di nascita dell’autrice). I poemi sono, questa volta, strofe costruite in una maniera “pointillista”, dove appaiono tipologie umane simili a quelle che propongono le nostre favole popolari, così come animali, uccelli, e addirittura oggetti/strumenti, piante che si  antropomorfizzano ludicamente, cosparse di toni satirici, esaltando, alla fine,  ciò che la critica italiana ha chiamato “la celebrazione del vero trionfo dell’assurdità”.

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