da Corriere della sera, 11 aprile 2014
Emilia Romagna, l’ipotesi del nesso tra sisma e petrolio
L’estrazione di petrolio nel giacimento di Cavone potrebbe aver scatenato il doppio terremoto che due anni fa ha colpito l’Emilia Romagna? Forse sì. A questa sconcertante conclusione è arrivato il comitato tecnico-scientifico Ichese, insediato presso il Ministero dello sviluppo economico nel maggio del 2012 proprio per rispondere a questa domanda. L’acronimo, infatti, sta per Commissione internazionale per la valutazione delle possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e aumento di attività sismica in Emilia Romagna. Il rapporto redatto dai sei membri, tre italiani e tre stranieri, è stato consegnato alla Protezione civile oltre un mese fa e quindi alla Regione, confermano al Corriere della sera le parti interessate. Se non è ancora stato pubblicato, ci dicono fonti del Ministero dello sviluppo economico e della Protezione civile, è perché un gruppo di lavoro sta effettuando gli opportuni approfondimenti. Diversa la versione fornita dalla rivista Science sul numero che esce oggi: il documento sarebbe rimasto in un cassetto per il timore espresso da politici di livello regionale e nazionale sulle possibili conseguenze politiche ed economiche delle rivelazioni.
Secondo la rivista americana, che ha potuto leggerne in anteprima le conclusioni, gli esperti scartano l’ipotesi che ad accendere la miccia siano state le indagini invasive effettuate nel deposito di gas vicino al centro di Rivara. Il dito viene puntato invece su un altro sito di proprietà della Gas Plus (società che aspetta di leggere il rapporto ufficiale prima di esprimere la sua posizione). Si tratta del giacimento di Cavone, a venti chilometri dall’epicentro della scossa del 20 maggio. Di per sé i cambiamenti di pressione sulla crosta terrestre dovuti alla rimozione del greggio e all’iniezione di fluidi per facilitarne il flusso non sarebbero stati sufficienti per provocare la tragedia, sostiene il rapporto. Ma “non si può escludere” che la faglia fosse già vicina al punto di rottura e che l’attività estrattiva abbia funzionato da innesco per il primo evento sismico. Questo a sua volta avrebbe scatenato il secondo nove giorni più tardi, il 29 maggio. La correlazione tra la quantità crescente di petrolio estratto da Cavone a partire dall’aprile del 2011 e l’aumentata sismicità dell’area prima del 20 maggio 2012 costituirebbe un indizio, anche se per rafforzare la tesi di un legame causale bisognerebbe sviluppare un modello fisico che tenga conto della dinamica nel serbatoio e nelle rocce circostanti.
La commissione nata su richiesta del Presidente dell’Emilia Romagna Vasco Errani ha lavorato per mesi in sordina senza contatti diretti con il pubblico né con la stampa. Si è riunita diverse volte a Roma e ha eseguito sopralluoghi nell’area colpita dal terremoto e negli impianti di Cavone. “Il rapporto finale raccomanda ulteriori monitoraggi delle attività e predispone delle linee guida che saranno pubblicate a breve”, ci dice Franco Terlizzese, membro del comitato e direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello sviluppo. E’ già accaduto in altri paesi che degli studi suggerissero un legame fra attività umane ed eventi sismici. I tre forti terremoti del 2011 in Oklahoma, ad esempio, potrebbero essere stati innescati dal pompaggio di acqua in un pozzo svuotato. Ma il caso italiano è più incandescente per l’elevato numero delle vittime, ventisette, che non avrebbe precedenti per un sisma indotto dall’uomo. (Pubblicato sul Corriere della sera l’11 aprile 2014)
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